"Il mio Gabriele Basilico" è una lettera affettuosa rivolta a colui che ha reso il paesaggio urbano uno spazio in cui ritrovarsi
Nella storia recente della fotografia, pochi fotografi sono riusciti a cogliere a pieno la sfida di immortalare il paesaggio urbano. Al contrario del ritratto e dei volti, fin dai primi dagherrotipi al centro dei pensieri degli artisti di ogni epoca e forma, le città hanno subito maggiormente le conseguenze della rivoluzione industriale, diventando presto gli indizi più attendibili dell'identità cangiante di intere civiltà umane. Attraverso gli spazi, capiamo l'uomo, i suoi desideri. E questo, i fotografi, lo hanno capito prima di tutti.
Come ti dicevo, i nomi sono pochi, riconoscibili, e non a caso, quando pensiamo alla fotografia urbana, la mente va subito a un uomo, un simbolo, Gabriele Basilico: il narratore delle languide "Fabbriche Milanesi" ma anche colui che ha ridefinito le struttura della visione contemporanea degli spazi cittadini, luoghi che nelle sue fotografie si trasformano in «creature pulsanti, vive; e non più strutture vuote e senza cuore».
Di Gabriele abbiamo visto e sentito tanto, nel tempo; letto, soprattutto, nelle pagine di riviste e in quel meraviglioso libro "Architetture, città, visioni. Riflessioni sulla fotografia" (Mondadori, 2007), dove ne abbiamo compreso a pieno la filosofia dello sguardo. Come un infuso di erbe mediche, le immagini di Basilico sono un toccasana per la mente: ci trasportano in altri mondi lasciandoci esterrefatti di fronte all'ingegno di madre natura o della noncuranza dell'uomo moderno. Tante informazioni, ricche, variegate; tuttavia non sufficienti a soddisfare la nostra curiosità. Una, nello specifico, mi è sempre ronzata in testa. Un fatto che forse interessa pochi di noi (o solo me?) ma che, per quanto banale, cambia ogni cosa: perché belle le fabbriche eh! Per non parlare della sua Beirut, di uno splendore decadente. Ma prima di arrivare a toccare queste vette della fotografia, quali storie interessavano al giovane e sbarbato Gabriele Basilico?
Un Podcast, ultimamente, mi ha dato modo di riscoprire queste e altre sue sfaccettature, dandomi l'ennesima conferma che il fotografo milanese, in fondo, è qualcosa che va oltre le sue periferie, fabbriche e paesaggi urbani.
Un incontro fortuito
"Il mio Gabriele Basilico" è un Podcast di Triennale Milano, scritto e condotto da Gianni Biondillo (scrittore e architetto). Realizzato in concomitanza con la mostra "Gabriele Basilico. Le mie città", andata in esposizione a Milano due anni fa, questo racconto audio è una dolcissima testimonianza dell'intreccio affettivo e professionale che ha unito Gianni a Gabriele: due perfetti sconosciuti, prima di un evento che li porterà "goffamente" a stringersi le mani.

Gianni Biondillo è un architetto di Milano e come tutti gli architetti che hanno operato nel sistema urbanistico del capoluogo lombardo negli anni '80 e '90 ama la fotografia di Gabriele Basilico; in lei, come potremo dedurre ascoltando le sei puntate disponibili gratuitamente, Gianni vede la vibrante esaltazione della materia architettonica e un incontestabile, quanto potentissima, poesia. Come puoi immaginare tu stesso, quando gli hanno chiesto di realizzare questo Podcast non ci ha pensato due volte. Forse neanche ci credeva. "Raccontare Basilico? Quel Basilico?", sulla carta sembrava essere pura follia; eppure dentro di sé, sapeva di non poter rifiutare la proposta: per lui era come rendere un tributo al suo maestro, il fotografo che più di tutti lo ha spinto a osservare l'architettura come forma comunicativa. Robe così accadono solo poche volte nella vita.
Una volta, in una serata dove si parlava di un mio saggio d'architettura, qualcuno dal pubblico disse che avrei dovuto arricchirlo con delle fotografie. Io, cercando una battuta facile, replicai che non avrei mai potuto pubblicare un libro illustrato se le foto non fossero state di Gabriele Basilico. Poi conclusi, per strappare l'applauso: 'Solo che mi costerebbe troppo e allora ci ho rinunciato'. A fine serata Gabriele mi si avvicinò: 'Perché non me le hai chieste? Te le avrei date volentieri'. Mi sentii un cretino - Gianni Biondillo
La struttura del Podcast è più o meno questa: sei puntate, di circa dieci minuti l'una, in cui si ripercorrono gli esordi di Gabriele Basilico fino ad arrivare alle ultime vicende milanesi. In questo racconto mai noioso e splendidamente accompagnato dalla musica, Biondillo ci narra il Basilico meno conosciuto, quello che fotografava in giro per il globo «senza sapere che la fotografia, da lì a poco, avrebbe significato tutto per lui».
Sentire con quanto trasporto venga raccontata la storia di Gabriele, partendo dagli inizi nelle Balere emiliane (riesci ad immaginartelo lì, il timidissimo Basilico?) fino ai suoi lavori più famosi, mi ha messo addosso belle sensazioni. Merito anche di Biondillo, diciamocelo, che oltre a raccontarci con personalità un Basilico fotografo e uomo, ci diverte, guidandoci con i suoi aneddoti dentro lo strampalato universo dell'architettura: un mondo fatto di eroi e grandi strutture, ma anche di ragguardevoli inciampi.
Basilico 1.0
Sarebbe ingiusto dire che i lavori meno conosciuti di Gabriele Basilico non siano mai stati, anche in forma incompleta, citati in passato al pubblico di appassionati. Il "Basilico 1.0" o il "Basilico prima di Basilico", come hanno saggiamente chiamato una precedente conferenza dedicata al fotografo milanese, era stato raccontato in vari luoghi, dandoci però la sensazione, in alcune di quelle rare occasioni, di una produzione fotografica che più che tenersi in piedi da sola - come le sue "fabbriche" - fosse di "contorno" al mito originale, un qualcosa da guardare di sfuggita senza fermarsi più del dovuto.
A mani basse, tra i più begli incontri dedicati a Gabriele Basilico. Lo hanno tenuto Giovanna Calvenzi e Federico Montaldo, al Palazzo Ducale di Genova (2022).
Sensazioni, come ti dicevo, perché all'ordine dei fatti non è mica così. Le immagini prodotte da Gabriele Basilico, in quella che potremmo definire la sua fase più rock della carriera, sbalordiscono, e in senso positivo. All'interno delle sue inquadrature, racconta Biondillo nei primi minuti della puntata di apertura, «ritroviamo i segnali di una fotografia legata al documento», quella di Gianni Berengo Gardin, Bill Brandt e Walker Evans, per intenderci, veri punti di riferimento di un giovane Gabriele alla ricerca del proprio linguaggio. Ma c'è anche altro. E quell'altro risuona negli scenari sordidi dei night club e nelle polverose strade di una Glasgow infinita: luoghi dove Basilico, con poco meno di un rullino a sua disposizione e un flash economico, si è divertito a vestire i panni del fotoreporter, «rendendosi testimone del mondo senza prendersi troppo sul serio».
Sul serio, però, iniziamo ora a guardare quelle fotografie e a chiederci quanto ancora di "non svelato" ci sia nell'archivio di questo straordinario autore. E nel Podcast, questa cosa, è chiara. Il recente sforzo che ha portato alcuni editori italiani, sotto la supervisione di Giovanna Calvenzi, storica della fotografia e moglie di Gabriele, a prendere "quel Basilico" e riportarlo alla luce è encomiabile. Se oggi possiamo pensare a un Basilico funambolo e perché, dopotutto, lo era. E questa cosa è incredibile, se ci pensi, perché al solo nominarlo ci si para davanti un uomo austero, riflessivo, cupo: un vero maestro della lentezza; quando invece sapeva anche lui, e forse meglio di altri, rompere le regole del gioco, e farne di proprie.

Verso l'infinito e oltre
Nella puntata quattro del Podcast (Datar, o dell'infinito), Gianni Biondillo racconta l'evento che spinse Gabriele Basilico a concentrare tutte le sue attenzioni sul paesaggio. Il momento narrato è lirico, cruciale. La fotografia, neanche a dirlo, stupenda. In quella veduta che dà sul fiume Somme, a confine tra la Normandia e la Piccardìa, Basilico si sente totalmente immerso nello spazio. Lì sopra, a contatto con le nuvole, scriverà il fotografo anni dopo, «mi sentivo come dilatato, parte dell'insieme; non c'era bisogno di acrobazie formali, si trattava solo di documentare il miracolo».
Quell'evento fu la scoperta del paesaggio come lo intende lui. Della luce: forte, protagonista. Del rapporto tra le parti; naturali e artificiali. Del senso intrinseco dell'infinito come fine ultimo, per raggiungere il cuore della fotografia.

Andare oltre ai limiti della cornice: il fotografo può suggerirci come fare, attraverso la prospettiva e la scelta dei soggetti, continua Biondillo, nel tentativo di toccare l'infinito per contemplarlo e cercare, infine, di afferrarlo. Quello che rende la fotografia meravigliosa, d'altronde, è la sua capacità di "svelarci l'invisibile pur rimando nel quadro del visibile". Un invisibile che Gabriele Basilico aveva già imparato nel tempo a esplorare, ancor prima che le sue fabbriche, periferie e città arrivassero a noi. L'ennesimo segno di come il successo di molte storie fotografiche sia più una questione legata alle persone e alle esperienze personali, che al talento.
Vedo la città come qualcosa di vivo; come un organismo che respira; come un grande corpo in trasformazione [...]. La città da estranea può divenire un luogo di appartenenza, basta osservarla con occhio disincantato - Gabriele Basilico
Toccare l'infinito è l'augurio che "Il mio Gabriele Basilico" ci vuole, in qualche modo, regalare. Un augurio che passa dal voler smontare ogni precedente considerazione su Gabriele Basilico ma anche spingerci a reinterpretare le opere attraverso le esperienze di altre persone.
Perché oltre a mettermi belle sensazioni addosso, questo Podcast, mi ha stimolato a riguardare certe fotografie; a scoprirne di altre, magari sconosciute; ad acquistare dei volumi precisi ora che è possibile farlo, grazie alle recenti ristampe di tante opere. Una strana ma appagante sensazione, quella di pensare a questo Basilico, che mi rende allegro e, al contempo, molto pensieroso. Oggi siamo spesso troppo frettolosi ad etichettare le carriere degli fotografi. Li chiamiamo ritrattisti, paesaggisti e fotoreporter, come se il loro lavoro si potesse ricollegare ad una singola esperienza. Sotto sotto, mi vien da pensare, facciamo un grosso errore. Se gli artisti sono tali (e non so quanto Basilico si sentisse parte della cerchia), un motivo ci sarà. Dietro c'è sempre altro.
Gabriele Basilico, come tanti di noi, ha iniziato a muovere i primi passi nella fotografia con una "scuola per corrispondenza"; tuttavia la sua magia non era destinata a consumarsi interamente dentro fatiscenti architetture. Doveva uscire fuori, essere infinita. Infinito come il suo sguardo, ma anche come l'affetto che proviamo ancora oggi nei confronti del "nostro Basilico": maestro del paesaggio, ma anche di tanto - di tantissimo eh! - altro.

Il mio Gabriele Basilico
"Il mio Gabriele Basilico" è un podcast, scritto e condotto da Gianni Biondillo, creato in occasione della mostra "Gabriele Basilico. Le mie città", dedicata alla figura del grande fotografo italiano.
Ascolta il Podcast ◎
È sempre bello veder nascere un nuovo festival di fotografia! A maggior ragione, se la direzione artistica - italiana - punta tutto sulla fotografia di strada: il nostro grande amore.
Quest'anno sarò presente, in veste di spettatore e giudice, all'Effestival di Anagni. L'evento, patrocinato dal comune e creato dall'associazione culturale di Effe 4.0, mette insieme una serie di iniziative che vedranno i fotografi e le fotografe protagonisti. Si parla, tra le tante cose, di mostre, letture portfolio e incontri. Ma anche di musica, cinema e un mercatino dedicato a fanzine e libri fotografici. Insomma, un bel momento per riunirsi e condividere insieme la passione per l'arte tutta. Se ti va di prendere parte al festival con le tue immagini, c'è il regolamento qui sotto. A me mi trovi nella sezione "By Phone". Altri colleghi più illustri di me ti aspettano invece su "Immagine singola", "Progetto" e "Bianco nero". Per il resto, ci becchiamo lì!
Hai tempo fino al 30 Aprile per mandare il materiale ✌️


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