Il sogno più grande di Angelo Gabriele Mazzolla, in arte il paesologo, è quello di fare il fotografo. Professionista o meno non importa, mi dice lui; conta solo il poter riempire la sua intera esistenza di immagini. Immagini della Basilicata, se possibile, la terra in cui è nato e in cui è cresciuto umanamente e artisticamente.

Quella di Angelo è una storia parecchio atipica. Fin da giovanissimo, percorre le vie arzigogolate della Basilicata alla scoperta delle sue tradizioni, della sua gente e di tutte quelle sfumature che la rendono una terra sospesa nel tempo. Da circa dieci anni, invece, la fotografa, documentandone le trasformazioni e i volti di chi la abita.

La sua è una vera e propria missione. Uno spendersi completamente per un qualcosa che potrebbe essere destinato presto a scomparire, a soccombere sotto le fauci di una modernità sempre più feroce. «Molti mi dicono di spostarmi, perché la Basilicata non dà certezze. È vecchia. Non adatta ai giovani. Per me sono critiche che lasciano il tempo che trovano. Io adoro stare qui. Fotografo il mio tempo e mi rendo utile alla salvaguardia di quelle storie che altrimenti andrebbero perdute».

Seguo i suoi racconti da diversi mesi e sentivo la necessità di capire come ci si senta ad essere il testimone di un'intera cultura. Soprattutto sui Social Media, quel luogo in cui le cose brutte fanno audience, quelle belle, invece, passano subito in secondo piano. Ci siamo così incontrati in videochiamata per chiacchierare delle sue immagini e della sua Basilicata. Qui di seguito l'intervista venutane fuori.

Intervista
Vedere un giovanissimo interessarsi al racconto del proprio paese è un qualcosa di davvero atipico. Come e quando hai iniziato questo percorso?

È stato tutto un processo affrontato a posteriori. Come molti fotografi dell'era moderna, ho iniziato a scattare le prime immagini con lo smartphone. Era il 2012. Ero molto giovane, tuttavia mi piaceva già documentare attraverso la fotografia le imprese dei miei amici e la vita quotidiana in Basilicata. Negli anni della maturità, ho capito che questa cosa non era destinata a rimanere solo un passatempo. Il mio archivio parlava chiaro: c'erano alcuni temi, volti e situazioni che ritornavano costantemente nelle fotografie. Così, spinto dalla voglia di raccontare quello che rimane della mia regione, ho messo le basi di un percorso che continua tutt'oggi. Sono dieci anni che fotografo la Basilicata. E ti dirò, non mi sono ancora annoiato.

Fotografia di © Angelo Gabriele Mazzolla
Le atmosfere che avvolgono le tue fotografie mettono addosso una strana malinconia. Sembrano frammenti di un passato a cui molti di noi, in qualche modo, ci sentiamo vicini. Hai sempre immaginato così la tua Basilicata?

Umanamente parlando, si. Sono molto affezionato alla mia regione. La Basilicata è il luogo in cui mi sento protetto. Il posto in cui voglio rimanere e in cui so di poter esprimere al meglio me stesso. Mi è venuto quindi naturale restituire fin da subito una visione più romantica della mia regione. Volevo darne di lei, quanto possibile, un'interpretazione positiva, vera; lontana da certi stereotipi e sensazionalismi del caso: un racconto del territorio che mettesse al centro le persone e i loro ricordi. In qualche modo sento di esserci riuscito. La Basilicata che vedi è quella in cui credo.

Quella che ti sei imposto è quasi una vera e propria missione. Raccontare, paese per paese, un territorio poco conosciuto. Oltre all'amore per la tua terra, esiste qualcos'altro che ti spinge a percorrerla in lungo e in largo?

Molto probabilmente il desiderio di capire perché sia così speciale, perché valga la pena preservarne, in qualche modo, le sue storie e i suoi racconti (nell'intento di metterli a disposizione delle nuove generazioni). Sai, quando iniziai a fotografare la Basilicata non mi era tanto chiara l'importanza di questo incarico. Fotografavo, senza però sapere cosa volesse dire documentare. A farmelo capire, nel tempo, sono state le stesse persone. Ascoltare le loro vicissitudini mi ha cambiato dentro.

Poi, se vogliamo, c'è anche una motivazione di natura personale, legata alla mia infanzia. Non ho avuto la fortuna di conoscere i miei nonni. Per certi versi l'unico ricordo che ho di loro è quello legato a dei vecchi album di famiglia. Percorrere e fotografare la Basilicata è anche così un modo per recuperare quel tempo perduto, rivivere quei luoghi e quelle tradizioni che loro hanno vissuto quando io non c'ero.

Molte delle tue immagini sono dei ritratti ambientati. Trovo molto interessante questa tua volontà di voler far convivere insieme il micro e il macro, la storia di una singola persona con la memoria di un intero paese. Questo approccio al soggetto c'era già all'inizio? O è sopraggiunto dopo?

Non proprio. All'inizio ero parecchio timido e facevo fatica ad avvicinarmi alle persone. Probabilmente non riuscivo ad accettare l'idea che scattare una fotografia in pubblico fosse una cosa normale. Mi facevo fin troppi problemi. Poi, nel tempo, ho preso maggior coraggio. Superato il muro dell'impaccio iniziale, ho iniziato a chiedere alle persone di farsi fotografare, di renderle protagoniste delle mie storie. Questo passo in avanti ha migliorato di molto il mio lavoro, rendendolo più forte.

In questo percorso le fotografie arrivano infatti dopo. Sono solo la ciliegina sulla torta di un contatto umano instaurato in precedenza con gli abitanti del paese. È proprio grazie alle loro parole, a quelle sfumature impercettibili di un dialetto articolato e al loro indicare animatamente luoghi che mi sarebbe impossibile scoprire da solo che entro dentro la loro quotidianità, e la rendo speciale, tramite una fotografia. Senza di loro molte delle mie immagini perderebbero di significato.

Ti ha aiutato conoscere chi fotografi?

Si! Mi incuriosisce molto conoscere chi vive i vari paesi e quali differenze ci sono tra uno e l'altro. Venendo da Pietragalla ho potuto constatare velocemente la varietà degli ambienti e delle tradizioni secolari. Ogni paese è particolare, unico. Se vuoi sondarli tutti in profondità, non puoi esimerti dal non incontrare chi li abita. Non mi pesa quindi affatto passare delle ore tra le piazze e in compagnia dei paesani. Dopotutto, a me interessano le storie delle persone. Credo che ascoltarle sia un tipo di esperienza personale e professionale impagabile. Quello che hanno vissuto, e che spesso fanno fatica a tramandare ai posteri, sono testimonianze essenziali. Conservarne il loro ricordo è per me un compito importantissimo.

A me interessano le storie delle persone
Quanta personalità c'è nelle tue fotografie? O per meglio dire, come gestisci il rapporto tra il documentare e la manifestazione del proprio ego creativo?

Cerco di mantenerlo in equilibrio. Nessuno dei due, a parer mio, deve prevalere. Credo che la fotografia sia uno strumento utile ad interpretare il tempo in cui ci troviamo. È fatta di noi, delle nostre esperienze e della nostra cultura. Pensare di rimanere totalmente oggettivi è quasi impossibile. Nelle mie fotografie tento così di trasmettere, in simultanea, l'emozione del momento e la personalità del soggetto inquadrato. Voglio che chi veda le mie immagini si senta totalmente partecipe della scena. Non è mai facile, ma mi sforzo di raggiungere il risultato.

Raccontare fotograficamente un paese è un impegno che consta tempo e fatica. Immagino che scatterai, nel frattempo, centinaia di fotografie. Mi chiedevo quindi, quando capisci che un'immagine è funzionale al racconto?

Mi rendo conto che un'immagine funziona quando mi tormenta per tutta la giornata [ride]. Potremmo definirle come quelle fotografie speciali che non sai spiegarti bene il perché ti piacciano così tanto, di quelle che ti fanno ripiombare immediatamente a quei momenti. Se le penso, in qualche modo, è perché mi ci ritrovo. Vuol dire che in quelle fotografie c'ero. Che c'era l'anima di un paese.

E poi ci sono altre immagini, magari meno dirompenti, ma utili al racconto. Queste mi aiutano a sviluppare la narrazione verso argomenti come quelli della pastorizia, della vita lenta di paese e dei riti religiosi e folkloristici: temi legati alla Basilicata, che non tutti conoscono, e che meritano attenzione. Sono scene in cui magari non succede niente di straordinario, ma nelle quali è possibile cogliere tutta la bellezza della normalità. Trovare il giusto connubio tra utile e bello è la sfida più difficile.

Come scegli, invece, i paesi da fotografare?

Non programmo quasi mai le mie uscite. Deciso direttamente in giornata dove andare e cosa fotografare. Prendo la mappa in mano e mi faccio incuriosire dai nomi dei luoghi. Ultimamente mi capita di farmi guidare anche dagli aneddoti e dalle indicazioni degli stessi paesani. Grazie a loro scopro sempre nuove località da visitare; persone da incontrare e panorami da immortalare. E poi si, ogni tanto li frego pure: mentre indicano qualcosa o qualcuno gli scatto una fotografia [ride].

Nelle tue fotografie sono spesso presenti soggetti appartenenti alla terza età. È come se i giovanissimi, nel tuo racconto, non fossero parte integrante di questa narrazione sospesa nel tempo. Questo è dovuto a motivazioni di natura demografica? Oppure la tua è una scelta strettamente narrativa?

Direi un misto tra le due. Innegabilmente i paesi sono per lo più vissuti da generazioni passate. Molti giovani, raggiunta la maggiore età, scelgono di andare fuori per studiare o trovare lavoro. Questo spiega in parte la loro poca presenza nelle mie fotografie. Il motivo che però mi spinge davvero a limitarne la loro figura è di carattere narrativo, se non etico (quando si parla di fotografare i bambini).

Fotografia di © Angelo Gabriele Mazzolla

Essendo interessato a conservare quello che è stato, e che si spera sarà per tanti anni ancora, trovo più funzionale concentrare le attenzioni sulla terza età. Sono loro, gli anziani, che manifestano al meglio i valori della semplicità e del vivere alacremente un contesto bucolico come quello lucano. La loro presenza in scena, mi permette di evidenziare la natura scanzonata dell'ambiente e mi guida, a parole, a sguardi, nella corretta narrazione di alcuni rituali sociali che magari i giovani non conoscono bene. In qualche modo è come se scattassero le fotografie insieme a me.

Di giovanissimi, però, ne hai tanti che ti seguono su Instagram. In qualche modo ti senti responsabile dell'immagine che dai loro della Basilicata?

Assolutamente si. È una bella responsabilità. Molte volte tendiamo a credere che i giovani non siano interessati a certi temi, a certi contesti. In questi dieci anni di lavoro ho potuto invece capire che esiste una latente curiosità nei confronti di tutto quello che fa parte del mondo pastorale; della sfera paesana, insomma. Questa è una bella cosa! Cerco quindi di rimanere concentrato e di raccontare con scrupolo la vita di paese, approfondendone magari le storie dei singoli nelle didascalie dei miei caroselli. Sapere di potermi rendere utile in tal modo mi rende molto felice.

Magari questi stessi giovanissimi un domani decideranno di fare un percorso fotografico simile al tuo. Ti andrebbe di dargli qualche consiglio in merito?

Non sono bravo con i consigli [ride]. Ma ci provo. Ai più giovani, consiglierei di raccontare il proprio paese cercando di rimanere se stessi. Ascoltare chi lo abita. Farseli amici. Esprimere quello che si ha dentro e quello che crediamo possa essere utile alla nostra comunità (anche le cose negative, seppur ci fanno male). Evitare, quanto possibile, di realizzare immagini solo per sbalordire o conquistare un seguito sui Social Networks. Fare, insomma, una fotografia che prima di stupire gli altri, stupisca noi stessi. Se guardando poi nel mirino della vostra fotocamera vi sentirete a vostro agio, vuol dire che la strada percorsa è quella giusta.

E la tua fotografia, dopo dieci anni, ti stupisce ancora?

Sempre. La Basilicata non smette mai di regalarmi sorprese. Più scendo a fondo della sua natura e delle tradizioni e più capisco che non potrei mai vivere altrove.

Chi è Angelo Gabriele Mazzolla?

Angelo Gabriele Mazzolla è un fotografo lucano. Da circa dieci anni documenta lo scorrere della vita nei paesi in Basilicata attraverso uno stile che ci ricorda le immagini della nostra infanzia. Fare il fotografo è il suo sogno nel cassetto. Puoi scoprire il racconto della sua terra sul suo Profilo Instagram (ilpaesologo).

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