Raccontare il mondo, in modo unico. È un pò il mantra di noi fotografi quello di cercare ininterrottamente un linguaggio che possa sottolineare il nostro passaggio nell'universo e renderci, nel mentre, riconoscibili tra la massa informe di narratori visuali.

Negli ultimi tempi, l'universo di internet, luogo violento ed angusto, non ha fatto altro che inasprire questa nostra necessità di trovare un pubblico, rendendo la ricerca di notorietà e stabilità molto più complicata che in passato.

Eppure, un tempo, si fotografava per capire il mondo, e non per conquistarlo e tutto questo, noi fotografi, sembriamo averlo dimenticato.

Ray K. Metzker, fotografo americano noto per il suo bianco e nero, un linguaggio, se lo è costruito a piccoli passi, continuando a sperimentare e a portare nel cuore quell'ideale di una fotografia pura e fatta di pochi elementi.

Il suo lavoro, oggi studiato e di ispirazione per molti fotografi in erba, ha ridefinito il modo comune di vedere la strada, aprendo le porte ad una libertà interpretativa e creativa del genere prima inesplorata.

Oggi, in questo articolo di approfondimento, ti racconto la sua storia.

La fotografia di un innovatore

Philadelphia, 1963 © Ray K. Metzker

Ray K. Metzker nasce nel Milwaukee, Stati Uniti, nel 1931. Si avvicina alla fotografia da giovanissimo, all'età di tredici anni. Le sue prime immagini sono dei paesaggi, del lago del Michigan, scattate con una piccola Kodak Brownie.

La passione per l'arte e la fotografia lo spingeranno, alla fine dei suoi studi artistici presso il College di Beloit, ad intraprendere un percorso più approfondito all'istituto di Design di Chicago, denominato, dalla critica, la "Nuova Bauhaus".

Lì verrà seguito da mostri sacri come Aaron Siskind e Harry Callahan, fotografi americani di rinomato spessore, che lo stimoleranno a sperimentare in camera oscura e a ricercare un proprio linguaggio personale.

Sarà proprio Chicago la prima tappa del suo percorso artistico.

In questa zona, ricca di palazzi monumentali e strade affollate, Ray darà inizio alle sue prime serie fotografiche, realizzando immagini in bianco e nero in cui contrasti, forme, luci ed ombre vengono rielaborate, in camera oscura o in presa diretta, per costruire un immaginario unico nel suo genere.

I soggetti, fin dalle prime immagini, variano, e molto spesso. Si passa da persone intente a raggiungere il lavoro o alla fermata dell'autobus, fino a strutture fatiscenti, in composizioni astratte, e superfici riflettenti abbacinate dal sole.

Il suo lavoro verrà talmente apprezzato dalla critica e dal pubblico, incuriosito da queste visioni rocambolesche della realtà, da fargli guadagnare ben due borse di studio John Simon Guggenheim Memorial e una personale al MOMA nel 1967.

Ray K. Metzker, agli occhi di tutti, fu da subito un vero innovatore.

Tra le sue serie più importanti, realizzate tra Philadelphia, Atlantic City ed Europa, ricordiamo Composites (1964-84), Sand Creatures (1968-77), Pictus Interruptus (1976-80), City Whispers (1980-83) e Without Camera (1994).
Chicago, 1957© Ray K. Metzker

Ora, torniamo al presente.

Scorrendo online le immagini del buon vecchio Ray, mi sono accorto di certe ricorrenze visuali che rendono la sua fotografia incredibilmente appagante, dal punto di vista formale, e, nello stesso momento, mai ripetitiva nei suoi schemi.

Sembra assurdo, ma Ray, in ogni sua invenzione o produzione fotografica, ha sempre messo del suo, ribaltando vecchie convinzioni e percorrendo strade ritenute da molti ormai logore o prive di svolte efficaci.

Guardare le fotografie di Ray K. Metzker è come ammirare un'opera d'arte delle avanguardie storiche.

Una luce obliqua, iridescente, attraversa gran parte di questi scenari - inquadrati con precisione maniacale - rendendoli spazi metafisici in cui persone, oggetti e creature invisibili convivono all'unisono.

I soggetti, immobili come statuine, o in eterno movimento, compartecipano ad una danza ritualistica tra luce ed ombra: punti di ancoraggio per gli spettatori che altrimenti verrebbero travolti nel vortice di una dimensione inverosimile.

Quello che fa Ray, a scanso di equivoci, non è restituirci la quotidianità così come si presenta davanti a noi (o estremizzata per acchiappare consensi), ma una quotidianità mutevole, trasformata dagli umori e dalle sensazioni dell'autore: una vera e propria interpretazione delle strade e dei suoi abitanti.

Philadelphia, 1981 © Ray K. Metzker

Molti potrebbero obbiettare sui modi e sugli approcci di questo fotografo. Chi mastica di fotografia di strada crede fermamente che mantenere il negativo, o il file RAW, il più possibile intatto, sia sinonimo di qualità, di rispetto del proprio lavoro.

Ray K. Metzker, ancor prima dell'arrivo del digitale, ha scelto invece, deliberatamente, di rompere qualsiasi regola, modificando, adattando e rielaborando ogni sua produzione nell'intento di ottenere un certo risultato.

Le ore passate in camera oscura si equivalgono, nel caso di Ray, a quelle passate in strada, creando una simbiosi creativa tra questi due elementi da poter essere considerati due facce della stessa medaglia.

Non a caso, questi neri profondi e queste luci così intense, che definiscono molte delle sue fotografie, sono frutto di un lungo e travagliato lavoro in camera oscura (unito, ovviamente, ad un occhio sensibile per la bellezza).

Una fotografia urbana, se vogliamo definirla così, molto libera ed aperta a riconsiderazioni, come se fossa una creatura fluida in eterna trasformazione.

Non sono un giornalista obiettivo. Preferisco andare oltre, al non detto della nostra esistenza. Ciò che non riesco a capire e afferrare sembra guidarmi verso qualcosa - Ray K. Metzker

Ray, come più volte ricordava nelle sue interviste, scopriva il mondo due volte: inquadrandolo nel suo mirino e riscoprendolo, subito dopo, in fase di sviluppo, quando scendeva in profondità registrando anomalie che prima gli erano sfuggite.

Poche regole, quella di non dare niente per scontato e di continuare a farsi meravigliare dalla vita come se ci entrasse a contatto per la prima volta.

Nel suo universo, quello stradale, tutto sembra acquistare una patina argentea, divina: una città invisibile che potrebbe tranquillamente rientrare, rubando la scena a tante altre, in una raccolta di Italo Calvino.

E qui viene fuori, nettamente, la morale di tutta questa storia.

Philadelphia, 1963 © Ray K. Metzker

Credo che sia una bella cosa, no, quella di lasciarsi alle spalle tutte quelle rigide imposizioni che il mondo della fotografia contemporanea, e dei Social Networks, ci invitano caldamente a rispettare, per fare parte del gioco.

Non facciamo altro che leggere e sentirci dire che per poter sfondare in questo settore è importante seguire certe strategie; percorrere strade già percorse da altri; smettere di sperimentare e puntare su un'unica visione.

Riguardando le fotografie dei grandi, e nella fattispecie quelle di Ray K. Metzker, la realtà dei fatti sembra un'altra, totalmente opposta alla narrazione moderna a cui siamo tutti ormai fin troppo abituati.

Inseguire un sogno comporta dei sacrifici, delle rinunce. Fare fotografia vuol dire avere il coraggio di imporci sul mondo con un linguaggio che ci appartiene, che comunichi qualcosa e che tenti, quanto possibile, di distruggere tutte quelle certezze che ereggono muri, invece di abbatterli.

Ray K. Metzker non ha mai fotografato per commissione e forse, la sua fotografia, in parte capita, e in parte ignorata dal mondo del web per l'estrema semplificazione, ne ha giovato, perché vera, sentita, partecipata.

Non è una fotografia che racconta chissà quale malessere, ma una fotografia di tutti, di quelle che non necessitano di grossi background alle spalle e che sbalordisce sempre per la sua armonia, pulizia formale.

Dovremmo imparare tutti da lui: fare fotografia, come ci sentiamo di farla, anche a costo di non ricevere immediatamente un responso del pubblico. Perseguire una via e avere l'accortezza di deviarne la prospettiva, quando sentiamo che tutto quello che dovevamo dire, in un certo modo, lo abbiamo già detto, più volte.

Solo così, quel linguaggio tanto ricercato, desiderato, l'unico che ci permetterà di distinguerci davvero dalla massa, verrà fuori da se, in una forma irripetibile.

E se ce l'ha fatta Ray, uomo comune, ce la possiamo fare pure noi.

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