Arriva il momento per tutti in cui la propria ricerca fotografica, soprattutto quella legata al mondo della Street Photography, incontra il nome di André Kertész: fotografo di origini ungheresi che ha scritto una fase importantissima della fotografia autoriale di inizio XX Secolo. Ma chi era questo uomo tanto misterioso, quanto straordinario, nella sua ecletticità?

André Kertész — Biografia

André Kertész nasce a Budapest, Ungheria, nel 1894. La sua famiglia, di origini ebraiche, apparteneva alla media borghesia ed era notevolmente conosciuta all’interno della comunità ungherese.

Nel 1912 si diploma all’Accademia commerciale della sua città ed acquista la sua prima macchina fotografica: una ICA 4.5×6 — la stessa macchina con cui realizzerà la famosa immagine “Ragazzo dormiente”, scena catturata nei pressi della drogheria della sua famiglia.

Nel 1915 si arruola nell’esercito austro-ungarico e parte per il fronte russo-polacco. Ad accompagnarlo in questa breve avventura ci sarà una piccola Goerz, con cui realizzerà un diario visivo sulla vita in trincea — lasciando momentaneamente fuori tutta la crudeltà e crudezza della guerra.

Qui André Kertész con Robert Doisneau.

Due importanti tappe della sua vita saranno il trasferimento momentaneo a Parigi — attuato nel 1925 al seguito della depressione post bellica ungherese — e lo spostamento a New York, sotto le ali dell’agenzia Keystone. Parigi rappresenterà un luogo ideale per l’accrescere della visione e della sensibilità di questo autore, essendo il punto di fermentazione artistica per importanti nomi come Robert Capa, Man Ray e Berenice Abbott.

Nella stimolante capitale francese inizierà a collaborare con importanti riviste di settore, come VU, e conoscerà Henri Cartier-Bresson — in quel momento affiliato della stessa rivista. Nella stessa città parteciperà ad una prima mostra totalmente fotografica nel 1929, presso il Salon de l’escalier, insieme ad Eugene Atget ed altri fotografi rinomati.

New York sarà invece il punto di arrivo della sua crescita personale e professionale. Nella città riconosciuta come la tappa di un passaggio obbligato per ogni mente o artista del secolo, il fotografo, inizierà a collaborare per Harper’s Bazar, Vogue ed altre aziende — nel mentre prenderà molte porte in faccia e continuerà a scattare per le strade della Grande Mela. Morirà nel 1985 nella sua casa a New York. Lascerà ai posteri più di 100.000 negativi.

Il processo creativo di André Kertész

Ritratto, paesaggio urbano e reportage: Kertész è questo ma anche altro. Le sue ombre, le sue scene prelevate dalla quotidianità e il suo approccio distaccato, ma mai banale, ci trascinano in una dimensione che sa di sospensione, di eterna serenità. Il suo occhio è unico. Tutto si adatta a lui e tutto è plasmabile all’interno della sua inquadratura.

© André Kertész

L’ungherese ha lavorato per moltissimi anni — anche se lavorato è un termine quasi improprio, vista la sua stessa definizione di fotografia — a catturare le sue impressioni, emozioni e visioni attraverso il suo obiettivo fotografico.

Kertész è da sempre stato interessato a mettere sul piatto un giusto binomio, un rapporto equilibrato, tra la forma, costruita attraverso una minuziosa attenzione alla composizione, e alla narrazione, rappresentata dai volti e dalle scene pregne di significato.

Ogni oggetto, ogni situazione e ogni azione acquista un valore inestimabile nelle sue immagini, rendendo così interessante anche l’espediente più banale e rappreso presente sul nostro pianeta.

Questo modo di vedere le cose, di riunire in un infinito puzzle vivente ogni minimo istante della vita di più persone, è stato, ad inizio XX Secolo, un motivo di grande orgoglio, ma anche di grande sofferenza per Kertèsz.

© André Kertész

Dedicare tempo, energie e rullini a catturare qualcosa di apparentemente incomprensibile per molti, ha ridotto di tantissimo la possibilità per il fotografo di farsi conoscere ed apprezzare dal pubblico.

Il suo lavoro non ebbe subito successo, ma si fece amare dopo qualche anno, segno di come, molto probabilmente, il suo approccio era forse troppo innovativo per il tempo. Già da qui possiamo notare come Kertész avesse dalla sua parte una virtù che forse molti altri fotografi in quello stesso periodo non avevano: il coraggio di saper portare avanti una propria idea, un proprio modo di vedere le cose.

© André Kertész

Il quotidiano ci offre gratuitamente ed incosciamente una moltitudine di occasioni per analizzare in profondità tutto quello che ci circonda, e le immagini di Kertész sono solo l’ennesimo omaggio alla bellezza e particolarità della vita.

Tutto quello che abbiamo fatto, o abbiamo intenzione di fare, Kertész lo ha fatto prima!

— Henri Cartier-Bresson

Credo fermamente che non esista una sola cosa non passata dal suo obiettivo. È straordinario vedere come ogni situazione, a prescindere dalla presenza umana o meno, possa scaturire un turbinio di emozioni che ci colpisce e ci fa assaporare, per un breve momento, una serenità recondita molto piacevole.

Kertész è riuscito pienamente nel suo intento. La sua fotografia ci rilassa e nello stesso istante ci fa pensare e ragionare sulle infinite potenzialità della visione umana. Una visione che può godere anche della più minuscola inerzia della nostra esistenza.

Uomini, donne, bambini, ombre, oggetti ecc.. tutti immersi nello stesso scenario. Ci sembra in un primo momento un condensato caotico di materiali ma in realtà tutto è perfettamente al proprio posto. Tutto ci parla e ci comunica qualcosa.

Il fotografo ungherese ha rivoluzionato il mondo visivo senza fare nulla di davvero impressionante. Tutto quello che vi viene presentato è stato sempre davanti ai nostri occhi. Kertész lo sapeva bene ma non gli bastava guardare, voleva catturarlo nella propria pellicola, inciderlo per sempre nella propria mente.

Cosa ci insegna André Kertész sulla fotografia?

Un viaggio a spasso nelle proprie strade, quelle più conosciute — o almeno quelle che ci sembra di aver percorso con più entusiasmo durante la nostra vita. Kertész ha semplicemente percorso quelle vie, volendo però dare questa volta importanza a quella voce interiore, la stessa che lo scombussolava ogni qualvolta camminava pensieroso per la strada di casa.

La macchina fotografica era il suo strumento ideale per poter immortalare quelle sensazioni sfuggevoli che, come in un quadro impressionista, sparivano, subito dopo averle percepite.

© André Kertész

Quello era però solo l’incipit di tutto il suo processo creativo, ma non sarebbe mai bastato per poter immortalare quegli istanti ricchi di forma, contenuto ed emozione che impregnano tutt’oggi molte delle sue immagini più famose.

Kertész ci insegna così a metterci del nostro, ad esporci sfruttando tutta la nostra capacità, elasticità visiva e bontà d’animo per rendere unico ogni momento della nostra esistenza. La chiave di tutto è l’universalità della contemplazione.

Lontani da qualsiasi credo politico, religioso ed artistico le nostre immagini sono godibili, capibili ed apprezzabili da tutti. Non è una questione strettamente commerciale, ma semplicemente un voler rendere omaggio alla vita in una delle sue forme più esemplificative e dirette.

© André Kertész

Avere la capacità di saper lasciare da parte una frazione della nostra quotidianità che oggi genera dolore, amore, risentimento e scontro è davvero difficile, ma il raggiungimento di questo scopo può regalarci un grande sospiro di sollievo.

Riusciamo a parlare di noi, delle persone e della comunità senza intaccare niente e nessuno. Un esercizio visivo che richiede una grandissima esperienza e sensibilità ma che ben si sposa con un approccio più vero e rilassato alla vita!

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