Qualsiasi fotografo intelligente, che va in un paese nuovo e straniero, cerca di guardare le cose in maniera differente dai cittadini che vivono lì da anni. È questo che li rende davvero unici

— Richard Kalvar

Parto da una citazione. Ormai è una consuetudine nel mio lavoro. La riporto qui in digitale, ci giro intorno, la confuto e la sostengo. È un ciclo infinito ed un ottimo modo per introdurre un argomento su un autore specifico.

Questa di Richard Kalvar ha però un non so che di speciale rispetto alle altre. È banale, ma fortemente sincera; è limpida e schietta; ti dice come stanno le cose e ti ricorda perché il ruolo del fotografo abbia ancora una sua importanza in questa società.

Non ho mai nascosto il mio affetto nei confronti di questo autore. È uno dei più grandi nel mondo della fotografia di strada. Tutti, eccetto chi non ha ben capito cosa sia l’arte, lo apprezzano e lo rispettano.

© Richard Kalvar

Quello che dice è sacrosanto. Vedere non è una faccenda semplice. Molte volte viaggiamo con la convinzione di trovare lì, qualsiasi sia il luogo scelto per la nostra vacanza, dei modelli preconfezionati di una tale cultura o di un tale popolo.

Pensiamo che quello che ci aspetta sia solo l’ennesima maschera, trita e ritrita, pronta a farsi fotografare e a gridare “cheese” di fronte al nostro obiettivo.

Pensiamo che basti farsi amico qualche ubriacone in un bar, come nei migliori libri di Georges Simenon, per farci da cicerone ed entrare prepotentemente in quel universo culturale ed uscirne vittoriosi.

Siamo turisti e in parte cittadini del mondo. Ma cosa differenzia un fotografo dall’uomo comune? La risposta per Kalvar è semplice: Il fotografo sa vedere, oltre le apparenze e oltre i pregiudizi. Si fa un’idea di tutto e di tutti. Mette se stesso in ogni fotografia che scatta. Una gran cosa, non trovi?

L’essere assuefatti dalla quotidianità, dal già visto, dal già vissuto, come se ci ritrovassimo in un loop perpetuo e senza fine, ci porta a distrarci e a non prendere in considerazione alcune vicissitudini della vita invece molto interessanti.

Chi vive in un luogo da anni lo respira e lo attraversa come se fosse un gesto automatico, quasi come un vezzo della propria esistenza. Ne conosce ogni minima parte e ne critica sempre le stesse cose.

Il fotografo deve però avere la capacità di assaporare ogni frammento della sua esperienza da turista come se fosse un bambino appena nato, che vede per la prima volta, con i propri occhi, il brulicare della vita.

D’altronde ad essere trasportati lì, in quei luoghi ignoti, non è solo il nostro corpo fisico: portiamo sul campo la nostra mente, le nostre esperienze e le nostre ambizioni.

© Richard Kalvar

Questo mix di fattori è determinante per la nostra fotografia: ci distingue dagli altri e ci definisce. Siamo essere umani con una spiccata sensibilità e con una curiosità oltremodo smisurata.

Siamo fotografi e siamo fieri di esserlo.

La citazione di Richard Kalvar è stranamente appagante e ci ricorda come lo studiare, crescere ed imparare nel campo fotografico, e della vita, possa davvero essere la risposta ad un’esistenza a volte troppo dura.

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