Guardavo una live qualche giorno fa su Instagram — una cosa che sto cercando di fare più spesso per ora. Il tema principale era ovviamente la fotografia, resa ancor più interessante dallo scambio di opinioni, sincere e riflessive, tra un certo Joel Meyerowitz e Nadav Kander — due fotografucci da quattro soldi d’altronde.

Nel mezzo della discussione, già avviata verso vie più che avvincenti, esce una frase dalle corde vocali del forse troppo umano Meyerowitz: “La fotografia è una questione di vibrazioni”. Uao! Quanta verità in così poche parole!

Una frase che coniuga perfettamente il processo fotografico in tutta la sua magnificenza

Non vi nascondo che all’ascoltare quella frase ho percepito un brivido lungo la schiena, uno di quelli molto positivi che ti mette in allerta e ti preannuncia l’arrivo di sensazioni benevoli nell’immediato. Non è la prima volta che sento parlare Meyerowitz di fotografia.

Il fotografo americano ha passato gran parte della sua esistenza ad insegnare e a diffondere una certa idea della disciplina, sempre però rimanendo aperto ad accogliere qualsiasi altra idea proveniente dall’esterno.

1965, NYC © Joel Meyerowitz

Joel parla spesso di sensazioni e percezioni nel processo fotografico. Secondo lui sono parte stessa del gesto di creazione di un’immagine, se non addirittura il reagente più importante che mette in moto tutta la macchina produttiva di un artista.

Quella frase però mi ha stravolto, perché dentro di me so che ha ragione; so che a smuovere il mio animo e la mia mente, quando vedo una scena in strada, è proprio quel carico di adrenalina, di energia, che attraversa tutto il mio corpo e mi fa danzare tra un passante e l’altro.

È quella fiamma che ti si accende in cuore e che ti fa prendere in mano la macchina fotografica per scattare, senza pensare troppo alla composizione o a chi ti sta intorno. Perché in quel momento sei attratto da una forza esterna, da un’apparizione divina che ti ammicca e ti spinge a dar fede alla tua primaria intuizione. Il tuo istinto in quel momento ti parla, sussurandoti di catturare quella scena e di farla tua. Piomba il silenzio nella tua testa, sei concentrato solo su quel momento.

© Nadav Kander

La caccia ha inizio. Il sussulto ti colpisce prima le mani, che iniziano a tremare e sudare, per poi colpire la schiena. Dentro di te però ti senti bene…sai di stare bene. La tensione si fa sempre più fitta. Stai per porre fine a quel tumulto interiore attraverso il gesto fotografico.

Sei conscio che stai per immortalare l’irripetibile. Click. Tutto torna alla normalità. Ripiombano il rumore delle voci e delle macchine nella tua testa. Sei di nuovo nella realtà, pronto ad accogliere nuove sensazioni e vibrazioni. Sei di nuovo pronto a vivere.

La fotografia rende la vita molto più significativa - Joel Meyerowitz

Joel Meyerowitz ci teneva a dirci questo e molto altro, perché in fondo, se ci pensiamo bene, la fotografia rende più significato ogni elemento e momento della nostra esistenza. È come se legittimasse la presenza di energie maligne o benevole all’interno del nostro corpo. È come se rendesse più sensibili i nostri cinque sensi.

Se non proviamo emozioni, o sensazioni, quando scattiamo, forse c’è qualcosa che non va. Forse non siamo ancora pronti ad accogliere e trasformare quei demoni che ci scombussolano, e che ci distruggono, in puro potere purificatorio.

Perché se la fotografia non è un atto liberatorio, cos’è allora?

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