9520km. Questo numero potrebbe non dirti niente e, non ti nego, non diceva niente neanche a me, prima di conoscere la storia che ha portato Rafa Jacinto e Davide Mari, fotografi di professione, ad unire le forze, per raccontare il territorio milanese e le sue periferie attraverso un progetto culminato poi in un libro: Orbite, cammino ai margini di Milano.

I due, conosciutosi ad un Master a Milano, non ci hanno messo tanto a capire di avere qualcosa in comune. In primis, la passione per la fotografia, indispensabile per portare a termine il corso e, secondariamente, l'amore per la camminata, inteso da entrambi come un esercizio quasi terapeutico ed istintuale.

9520km è la distanza che li divide, materialmente, dalla loro abitazione attuale (Rafa sta Milano, Davide a São Paulo), chilometri che, ai fini della storia che stanno per raccontarci, sfumano incontrovertibilmente in quello che è uno scambio intimo ed epistolare tra la Milano dei boschi e quella delle industrie.

Una storia, la loro, fatta di lunghe camminate a piedi e un obiettivo in comune: mettere al centro la scoperta del territorio che li ha accolti - artisticamente parlando - e renderla fruibile a tutti, in un momento in cui la modernità vuole una Milano sempre più veloce, omogenea e funzionante, in tutte le sue ramificazioni.

Li ho raggiunti, per farmi parlare di Orbite e di quello che ne sarà in futuro.

Essendo due gli intervistati, userò le lettere D (per Davide) e R (per Rafa).

Intervista
Orbite è un progetto collettivo, di matrice moderna. Basa molto della sua struttura sulla fiducia e il dialogo tra i suoi autori. Per questo non posso non chiedervi come vi siete conosciuti e da chi parte l'idea del lavoro

D: Il primo a parlarne, se non mi sbaglio, fu Rafa, poco dopo la chiusura del master di fotografia che abbiamo seguito insieme. Già durante il corso avevamo manifestato all'unisono la voglia di realizzare qualcosa di nostro, senza però aver individuato del tutto la modalità e l'approccio giusti per farlo. Sapevamo solo che ci interessava camminare e scoprire il territorio milanese in profondità.

Poi arriva questa storia incredibile del Parco Orbitale, un circuito di 82km che dovrebbe diventare - se completato entro il 2030 - il polmone verde principale del capoluogo lombardo. Ci siamo detti allora che poteva essere una buona idea capirne qualcosa di più e da lì abbiamo iniziato a predisporre le basi del progetto.

Orbite, 2023 di © Rafa Jacinto (sinistra); © Davide Mari (destra)

È una cosa che è venuta fuori spontaneamente. Non ci siamo dati nessuna regola, né imposizione. L'unica cosa a guidarci - e che ci ha messi d'accordo fin da subito - è stato il pensiero che attraverso la camminata avremmo potuto conoscere una parte della città in rapida trasformazione, diversa da quella dei tabloid.

Per certi versi il realizzare le fotografie è stata quasi una cosa secondaria, una contingenza dovuta al camminare in un territorio semi-sconosciuto con la macchina fotografica al collo e la mente aperta. È stata forse questa libertà creativa ad averci dato la benzina e i giusti presupposti per portare a termine il progetto.

Come vi siete divisi il lavoro?

R: Mappa alla mano, abbiamo diviso il territorio in due. Io ho scelto il Nord, una delle prime zone che ho avuto modo di sondare fotograficamente a seguito del mio trasferimento in città; Davide il Sud, a detta sua: "l'orbita che gli ricordava di più la luce e la fisionomia delle pianure emiliane dove è nato e cresciuto".

Siamo partiti insieme, direzioni opposte. Durante il percorso ci scambiavamo qualche messaggio su WhatsApp, niente di così poetico [ride]. Ci chiedevamo a vicenda a che punto eravamo arrivati e se ancora ci reggevamo in piedi, dopo i tanti chilometri percorsi tra i boschi e le strade periferiche. Solo il giorno dopo, computer sulla scrivania e schede SD piene, abbiamo visto il risultato.

Il tutto si è svolto in una giornata (12 ore circa). Questo, almeno, per la parte fotografica. Il resto [sorridono] ci è costato quasi due anni di lavoro ed editing.

Avete avuto difficoltà durante la fase di editing?

D: Non in particolare. Il timore iniziale era quello di essere tornati a casa con poche e cattive immagini. Io e Rafa tenevamo tanto al concetto performativo dello scoprire la città attraverso la camminata - in tal senso ci ha influenzati il libro di Francesco Careri, Walkscapes - e quindi era importante per noi chiudere tutto in quelle 12 ore, collegando l'aspetto fisico del movimento a quello temporale. Questo concetto non poteva essere scisso dal tutto. Avrebbe perso di significato il lavoro.

Devo dire che siamo stati abbastanza fortunati. Abbiamo beccato una giornata soleggiata e scattato abbastanza fotografie da poterle organizzare in qualsiasi maniera. Eravamo soddisfatti del lavoro e delle ore passate in strada. Il problema, semmai, è arrivato dopo, quando si è insinuata in noi l'idea di farne un libro.

Quindi il libro è arrivato successivamente?

R: Si. Il primo editing che abbiamo pensato era per la mostra alla Triennale di Milano, a seguito di un bando in collaborazione con Perimetro, che avevamo vinto, e che prevedeva un'esposizione nelle sale della galleria. Lì avevamo impostato la lettura del lavoro in ordine direzionale, per immagine singola (da Nord a Sud).

La mostra, alla fine, non fu fatta e fu sostituita dalla pubblicazione di parte del nostro lavoro in un report. Probabilmente vedere il progetto chiudersi lì, in quella sola pubblicazione, e con poche immagini a corredo, stimolò in noi la voglia di rimettere mano all'editing per farne un volume più ampio ed approfondito.

Così, dopo due anni di lavoro, caratterizzato inizialmente da una distanza siderale tra me e Davide (io a Milano e lui a São Paulo), e grazie all'aiuto di Veronica Gardinali e del nostro editore Seipersei, siamo passati da mille fotografie iniziali a 100, e poi a quelle inserite nel libro finale. È stata una vera avventura.

Cos'è cambiato rispetto al primo editing?

D: Ci sono stati dei cambiamenti considerevoli. Oltre all'aspetto prettamente editoriale - sono state scelte carte, grafiche e dimensioni delle immagini atte a rendere il libro quasi tascabile, come una mappa - abbiamo puntato fortemente sul dittico, ricercando legami e dialoghi tra le fotografie. Ci piaceva quest'idea di mettere in relazione luoghi e visioni molto distanti tra di loro per offrire al pubblico una prospettiva alternativa di Milano. Un qualcosa che coinvolgesse attivamente lo spettatore e gli facesse venir voglia di visitare lui stesso i posti.

Quello del dittico mi fa pensare ad uno scambio epistolare tra due vecchi amici, in eterno vagabondaggio per il globo. Credo che molta della forza del vostro lavoro risiede là, nel dialogo intimo tra fotografie così dissimili eppure molto vicine negli intenti. Come siete arrivati ad accostarle insieme?

R: Per noi è stata una vera scoperta. Come ti abbiamo detto prima, nelle nostre primarie intenzioni c'era quella di scovare le bellezze dislocate nel territorio periferico milanese e di farlo attraverso la camminata. Non avevamo pensato minimamente a possibili correlazioni tra le immagini, né al dittico come struttura narrativa del nostro lavoro. Tutto è nato durante la fase di editing.

Vedendo le immagini stampate, e messe sul banco, abbiamo scovato con l'aiuto di Veronica il ritorno di alcuni modelli visivi tra luoghi posizionati a molti chilometri di distanza. Questo apriva a diverse possibilità narrative e a chiavi di lettura che potevano variare da osservatore ad osservatore. Ci sembrò subito un'ottima idea.

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Orbite. Cammino ai margini di Milano (2023)

Così abbiamo cercato di far funzionare al meglio questi legami tra le nostre fotografie, creando delle connessioni - a volte esplicite, altre meno - che potessero raccontare al lettore il territorio periferico e riaccenderne sopra l'interesse.

Come puoi notare tu stesso dal libro, ogni accostamento cerca di mostrarci come il Nord e il Sud di Milano condividano alcuni frammenti di esistenza. Natura, industrie, ruderi. Questa cosa è più forte in alcune pagine (quasi speculare), in altre invece sembra rappresentare un prima e un dopo, dove però la componente cronologica non è specificata, lasciando al lettore il compito di annotarla.

Molto probabilmente la semplicità degli scatti, e il nostro stile asciutto, ci ha permesso di giocare liberamente sulle relazioni tra i luoghi e le persone, eliminando del tutto rigidi parallelismi del caso che avrebbero tolto spazio di manovra all'interpretazione del pubblico e danneggiato così il lavoro.

Era importante per noi mantenere questa libertà e garantirla al lettore.

Vedendo le vostre fotografie ho subito pensato alla ricerca visiva di autori come Guido Guidi e Gabriele Basilico. Loro, come voi, hanno raccontato le rispettive periferie di appartenenza evidenziandone le trasformazioni urbane. Potremmo dire che anche il vostro è un territorio destinato a cambiare?

R: Si! Io e Davide stiamo assistendo tutt'ora a questo cambiamento. Milano si sta trasformando, e molto velocemente. Per questo ci sembrava giusto affrontare ora, prima di uno stravolgimento totale del territorio, il percorso artistico di Orbite. Soprattutto, di farlo con il fine di un libro, per renderlo concreto e fruibile a tutti. Potremmo dire che anche questa responsabilità ci ha guidati nell'editing finale: offrire, quanto possibile, una testimonianza fotografica del territorio in evoluzione.

C'è stata una fotografia che vi ha colpito più di tutte nel progetto?

D: Non so se c'è uno scatto in particolare, ma c'è stata sicuramente una zona che mi ha sorpreso in positivo. Un bosco, scovato camminando verso Sud, quasi privo di attività umana. Mi ha colpito, perché mi aspettavo magari un parco o un campo agricolo, e non un luogo così inviolato dall'uomo. Milano cerca di crearsi quest'immagine, no, dello skyline con i palazzoni, eccetera, in realtà è una città molto verde e questa cosa andrebbe maggiormente raccontata e rivalutata.

Avete mai pensato, anche solo per un secondo, che la forma concettuale di Orbite potesse essere, non so, un impedimento alla lettura del lavoro?

D: Sicuramente una fotografia di questo genere richiede un'attenzione maggiore rivolta ai luoghi e agli accostamenti scelti per raccontarli. Questo non vuol dire che alzi muri rendendosi indecifrabile al lettore - le immagini sono elementari, per scelta nostra - ma che parte del processo di visione e comprensione del lavoro passa anche, e soprattutto, dall'interpretazione ed esperienza del pubblico.

Ci piace pensare che Orbite possa essere un progetto utile agli appassionati di fotografia come anche ai cittadini e professionisti nel settore urbano. Guardando le fotografie ci si può fare un'idea della città e tracciarne nuovi itinerari. Un modo per riabbracciare luoghi dimenticati e renderli vivi, prima che scompaiano del tutto.

Orbite, 2023 di © Rafa Jacinto (sinistra); © Davide Mari (destra)

Non a caso, il libro, è il contenitore migliore per veicolare questo messaggio e lasciare che germogli nella mente degli osservatori. Orbite è, come dire, una sorta di guida alla scoperta del territorio. Sfogliandolo per intero puoi rivivere con noi lo sforzo della camminata e la magia dell'incontro con qualcosa di inaspettato.

Il concettuale, in tutto ciò, più che un impedimento, è una porta d'accesso.

Io e Rafa sentiamo che il camminare nelle periferie ci abbia dato tanto, riconnettendoci alla storia di Milano e ricordandoci - come dice anche Luca Panaro che ha curato il testo di apertura del libro - che esistono storie importanti anche a pochi passi da casa nostra. Queste storie vanno ascoltate e raccontate. Come fotografi sappiamo di avere questa responsabilità nei confronti del mondo.

E in tal senso, il workshop fatto qualche mese fa a Tresigallo, ci ha permesso di diffondere quest'urgenza altrove, ad un gruppo di persone pronte ad ascoltarci. Con loro abbiamo affrontato il concetto di mappatura fotografica di un luogo in versione, ovviamente, ridotta. È stato bello e ci ha dato modo di riconfermare il nostro amore per la camminata e il territorio italiano.

E direi anche una riconferma della potenza del collettivo

R: Si, anche quella. Ormai fa parte della nostra esperienza personale. Crediamo che nel collettivo ci sia il futuro della fotografia (almeno della nostra, questo è certo). Orbite ne è stato un chiaro esempio: senza lo scambio di opinioni tra me e Davide, e senza tutti gli incontri fatti con persone e professionisti a noi cari, non saremmo mai potuti arrivare a questa degna conclusione. Lavorare con altri è difficile, ma se trovi quelli giusti, puoi star certo che qualcosa di buono nascerà.

Domanda finale e dolorosissima: cosa verrà dopo Orbite?

D: Non lo sappiamo [ridono], stiamo pensando da qualche mese al modo di portare l'esperienza di Orbite a São Paulo. Grande città, grandi problemi. Ci sono alcuni cavilli organizzativi da sistemare, ma se riusciamo nei nostri intenti, son sicuro che ne verrà fuori un'altra cosa strepitosa. Staremo a vedere.

Chi sono gli autori?

Rafa Jacinto è un fotografo brasiliano. Dal 2018 vive a Milano. Lavora attivamente come fotoreporter per riviste e giornali internazionali. Di recente ha spostato le sue attenzioni verso la fotografia di strada ed urbana. Il suo ultimo libro è "Ci Vediamo all'Angolo", una serie di fotografie scattate a zonzo per Milano. Trovi altro su di lui sul suo profilo Instagram o Sito Web.

Davide Mari è un fotografo di origini emiliane. Dal 2020 vive e lavora a São Paulo. La sua fotografia unisce diligentemente il gesto fotografico come pratica artistica a quello del camminare, indagando con diverse forme lo spazio che lo circonda. Trovi altro su di lui sul suo profilo Instagram o Sito Web.

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