Il fotoreporter è un possibile supereroe mancato. Pensaci bene: questa figura, rivestita di innumerevoli responsabilità e munita di attrezzature dall'inspiegabile funzionamento tecnico, attraversa e documenta gli eventi più strazianti ed importanti della storia per restituirli all'umanità intera.

I fotoreporter, come gli eroi dei fumetti, sono spesso supereroi solitari, forti ed autorevoli, ma anche individui pronti ad unirsi in fazioni, solerti nel rispondere all'appello quando il nemico da sconfiggere supera ogni aspettativa.

E proprio fotografia e fumetto si incontrano, in quella che è la storia della The Photo League, un collettivo americano nato ad inizio anni '30 con l'intento di fare luce sulle problematiche sociali ignorate dalla politica.

Il tutto dandoci, come fu per la FSA, una visione sulle strade americane di inestimabile valore artistico e culturale.

Oggi, in questo articolo, ti racconto la storia di questo invincibile gruppo.

Photo League: le origini

La The Photo League ha un passato alquanto singolare. Le origini di questo gruppo risalgono al 1930, quando una nota associazione comunista di origini berlinesi, la Workers International Relief, fonda un suo collettivo a New York.

Il collettivo prende inizialmente il nome di Film e Photo League e alla base della sua fondazione c'è l'intento di costruire una narrazione anticonformista che metta in luce le difficoltà della classe operaia e la depressione delle campagne americane.

I primi fotografi che decidono di unirsi al collettivo sono artisti con una forte personalità, un occhio particolare e un'ideologia politica ben definita. Quello che raccontano travalica spesso l'ordinario, toccando temi inesplorati dalla critica.

Ideal Laundry, 1946 © Arthur Leipzig

Il successo non si fa aspettare e la Film e Photo League, sempre sul pezzo, si fa immediatamente notare dal grande pubblico, diventando una voce di spicco, tagliente e scomoda, nel panorama giornalistico mondiale.

Tutto va per il meglio, fino al 1936, quando a causa di divergenze interne, il gruppo si spacca in due parti, dando vita ad una fazione di soli registi cinematografici, più interessati all'ambito politico e propagandistico, e ad una fotografica, amministrata da Paul Strand e Berenice Abbot.

Da questa spaccatura nasce la The Photo League, il collettivo per antonomasia che decide di consacrarsi totalmente al racconto onesto dell'America e dei suoi problemi sociali. Rimaranno attivi e fortissimi fino al 1951, l'anno in cui le pressioni politiche del maccartismo ne porteranno al loro scioglimento.

Photo League: gli interpreti

La storia del The Photo League, e dei suoi interpreti, potrebbe essere tranquillamente materia di un film, viste le sue componenti narrative (ed infatti ne esiste un esaustivo documentario).

L'associazione, in quindici anni di attività, ha contribuito a cambiare le sorti di alcune classi sociali e a ridefinire il modo comune di raccontare il mondo attraverso lo strumento fotografico.

Tra gli interpreti che indossarono i vessilli della The Photo League ricordiamo con particolare trasporto emotivo Margaret Bourke-White, Helen Levitt, Robert Frank, Eugene Smith, Ruth Orkin e Minor White: fotografi e fotografe che, con interventi differenti, hanno prestato la loro collaborazione alla causa, scattando fotografie riconoscibili da tutti (trovi una lista completa qui).

Boy jumping into Hudson River, 1948 © Ruth Orkin

Non basterebbe un solo articolo per citare tutti i lavori portati a termine da questi straordinari fotografi, anche perché sarebbe impossibile collocarli storicamente nei sistemi di un'associazione priva di un archivio unico e consultabile.

Molte di queste fotografie sono state pubblicate nei giornali e tante altre nella newsletter della stessa associazione, la Photo Notes. Per capire quali di queste siano state utilizzate per i loro scopi, e quali facciano invece parte di altri progetti, richiederebbe un'analisi delle biografie di ogni autore (non mi sembra il caso!).

Quello che però posso raccontarti è il modo in cui i vari membri, i fondatori e quelli successivi, hanno fotografato l'America con personalità e libertà espressiva, aprendo così le porte ad un modo di fare fotogiornalismo oggi alla portata di tutti.

Le fotografie della The Photo League sono caratterizzate da una profonda conoscenza del territorio e da un'estrema familiarità con i temi affrontati.

Molti degli interpreti del gruppo sono figli della nuova generazione di americani, individui nati in contesti di periferia e, spesso, membri di famiglie di migranti. Non a caso, le immagini che accompagnano il percorso di questa associazione, trattano di disparità sociali, di povertà e di manifestazioni di rinascita sociale.

Il loro terreno di caccia è la strada e le loro storie sono quelle che definiscono, in parte, le loro origini, l'intrecciarsi di culture e di esperienze che coinvolgono persone di ogni estrazione religiosa e sociale.

Il modo in cui vengono inquadrati soggetti, ambienti e scene di vita quotidiana, pur essendo vari nell'approccio e nei contenuti, inseguono quell'unico obiettivo comune di migliorare la vita delle persone e di conoscere meglio se stessi.

I racconti, in grossa parte, sono delle possibili biografie di interi quartieri, condensati in pochi chilometri calpestati a piedi e restituiti in immagini che ci colpiscono visivamente per le scene e per i visi in primo piano.

Si tratta di fotografia documentaria, ma non di quella a cui siamo abituati.

"The Wishing Tree", 1937 © Aaron Siskind

Quello che mi piace di questo collettivo è la varietà e la bravura con cui ogni membro, anche il più giovane, trasforma a suo piacimento gli elementi che ha davanti senza eliminarne del tutto la componente giornalistica.

La forza di questo immaginario ricamato con grande cura è dato soprattutto da due fattori, oggi centrali nel giornalismo moderno: la scelta di dedicarsi a storie di persone comuni e l'approccio personale al tema.

Tutte le immagini appartenenti a quell'epoca straordinaria per la fotografia ci parlano di problemi reali, vicini a noi, e lo fanno con una sicumera, efficacia e qualità difficilmente riscontrabile in altre epoche.

Solo in America, la patria di un giornalismo fuori dagli schemi, poteva essere la culla di una cosa del genere: una banda di fotografi scalmanati che insegue, per pura virtù, un obiettivo comune:

Fotografare, senza domandarsi il perché, ma con la convinzione che fosse importante farlo.

L'associazione è stata sempre pronta ad accogliere nuove espressioni e a ribaltare gli schemi visivi comuni. Furono due i grandi gruppi interni a portare avanti filosofie di racconto diverse nell'approccio ma simili nell'intento.

C'era quella capeggiata da Aaron Siskind, più espressiva e concettuale, e quella di Sid Grossman, più documentaria e legata alla conoscenza storica ed antropologica dei temi affrontati. Entrambe, nelle loro unicità, erano facce della stessa medaglia.

Potrebbe sembrare una cosa banale, quella di raccontare le cose attraverso stili e personalità differenti, ma all'epoca non era così.

La fotografia documentaria era vista all'ora come uno strumento freddo ed obiettivo in cui il fotografo, l'ultima ruota del carro, doveva scomparire per lasciare spazio all'evento e per non inquinarlo con le sue considerazioni.

La The Photo League ha invece messo fin da subito in chiaro che il ruolo del fotografo era importante e che la sua voce, come quella delle persone che si prestavano al racconto, non doveva passare inosservata.

Se si è bravi, d'altronde, si può inquadrare tutto con trasparenza senza rischiare di ricadere in trappole mediatiche. I fotografi e le fotografe dell'associazione erano super competenti in questo e le loro immagini ne sono una chiara testimonianza.

"Lower Eastside Facade", 1947 © Erika Stone

La The Photo League ha documentato una parte fondamentale della crescita del paese e le sue fotografie, unite insieme, sono una splendida enciclopedia dell'epoca. Eppure, sulle riviste, se ne parla pochissimo.

Il loro contributo, e la natura di questa organizzazione, sono oggi passati in secondo piano, relegati ad un quasi totale oblio nella conoscenza di chi studia fotografia e la diffonde nel mondo.

La politica maccartista dell'epoca vide negli interventi della The Photo League, divisi tra impegno sociale e formazione studentesca, delle possibili manifestazioni di un comunismo latente (ne racconta bene il fenomeno il New York Times).

Questo portò, con facili deduzioni, ad un ostracismo deliberato che non permise al pubblico di appassionati di affacciarsi a questa storia, e ai suoi protagonisti, con i giusti termini, con i giusti riferimenti del caso.

Mi piace pensare però che la fotografia vinca sempre su tutto e che se oggi possiamo parlare liberamente di questa banda di supereroi è perché, dopotutto, la storia ci insegna che le azioni superano qualsiasi credo politico.

Le immagini rimangono, le esperienze e i pregiudizi si consumano invece nel dileguarsi degli anni. Se la storia ci insegna qualcosa è che a rimanere impresse nella mente sono sempre i contributi che cambiano le cose, nel bene e nel male.

La battaglia contro la disinformazione e l'oscurantismo è stata vinta e ad aver riportato luce è proprio la The Photo League: il primo, e forse più grande, collettivo di fotografia al mondo.

Conoscerlo ed approfondirlo è quindi un dovere a cui non possiamo più sottrarci.

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