Occhialino, fronte alta e sorriso sornione. Si aggira per le strade, con un banco ottico sulle spalle e una Leica al collo. Scatta. Si ferma a pensare, comporre. La civiltà sta passando tutta dal suo obiettivo. Poterla catturare è il suo unico scopo.

Sembra il perfetto identikit di un ricercato dalla polizia, uno di quei serial killer in giacca e cravatta pronto a portare a termine il suo ennesimo feticcio, omicidio.

Seppur la sua aurea, così forte e decisiva, getti un pò di timore su di noi, dietro a quell'ironica saccenza si nasconde "semplicemente" uno dei padri del nuovo paesaggio contemporaneo: Stephen Shore, l'idolo delle folle, l'uomo che, munito di un banco ottico, ha riscritto le regole del gioco.

Stephen non ha bisogno di presentazioni. Per me è un eroe moderno, un grande artista che, se messo alle strette, e con qualsiasi mezzo munito di un obiettivo, riesce a costruirti immaginari visivi unici nel suo genere.

Il suo talento è sconfinato e ha toccato, nel tempo, diversi campi, dal paesaggio già citato, alla documentazione semplice e diretta sui Social Networks. La sua fotografia, mi sento di dirti, sarà ancora un punto di riferimento per il futuro a venire e il suo nome difficilmente scomparirà presto nell'oblio.

Oggi però non ti parlo di paesaggi, né di Social Networks, ma, come potrai aver già intuito dalle prime immagini in rilievo, di fotografia di strada, quella che Stephen Shore ha raccolto tra il 1971-1979 in un volume, Transparencies: Small Camera Works, edito MACK.

Queste immagini, così diverse dallo Shore a cui siamo abituati, sono state realizzate parallelamente a quelle di "Uncommon Places", il progetto fotografico che ha sancito l'entrata di Stephen nell'olimpo della fotografia.

Transparencies: Small Camera Works ci grida fin da subito addosso il suo umile intento: riportare, senza nessun filtro o presa di posizione, l'America, in tutte le sue sfaccettature.

Niente lastre fotografiche, ma solo una "comune" Kodachrome da 35mm.

Stephen racconta di aver avuto la necessità, durante il suo viaggio in giro per il continente, di sgranchirsi i muscoli, dopo le tante ore passate sotto il telo nero del banco ottico.

La sua Leica, sempre al collo, ha rappresentato per lui un momento di svago, un benefico viatico per abbandonare momentaneamente i rigidi schemi della composizione e l'ingombro della sua 8x10 (pesa, te lo posso assicurare!).

Transparencies: Small Camera Works 1971-1979 di © Stephen Shore

In Transparencies primeggia l'istinto, il catturare l'America nella sua vera essenza. La raccolta è composta principalmente da dettagli, epifanie soffocate sul momento e da simboli di una cultura votata al consumismo e all'eccentrico.

In questi frammenti di un enorme viaggio che sembra ormai lontanissimo da noi, notiamo un'aurea di fascinazione che avvolge tutto e che cade inesorabilmente ben presto nel malinconico, nell'amara consapevolezza che tutto questo non rimarrà immutato, ma che cambierà incontrovertibilmente nel tempo.

Stephen Shore è un eterno romanticone: ama l'America e non tarda a ricordacelo.

Nelle sue inquadrature tornano spesso i paesaggi a cui siamo molto legati, fatti di automobili, cartelloni pubblicitari e fili dell'elettricità, gli stessi di "Uncommon Places", ma anche i vialetti e gli angoli quotidiani della gente comune.

Vetrine, santuari, parcheggi e luoghi di ritrovo, momenti che, da fuori, ci sembrano banali, ma che nell'insieme nascondono un segreto indicibile: cosa sta accadendo e cosa accadrà, da qui a poco, in questi ambienti?.

È come se il fotografo americano fosse stato animato contemporaneamente da due forze, una più razionale, il banco ottico, e una più animalesca, la sua Leica: due facce della stessa medaglia, un Doctor Jekyll e Mr. Hyde che si scambiano, un colpo dopo l'altro, il posto di comando.

Questa serie non è perfetta, né iconica come quella di "Uncommon Places" (se mai fosse giusto fare un paragone), ma ci dimostra come Stephen abbia avuto la lungimiranza di non lasciarsi niente alle spalle, di seguire più sentieri nel suo percorso.

È riuscito, con l'occhio che lo ha contraddistinto nel tempo, a collezionare più tracce, più momenti, di un viaggio che fotograficamente sarebbe impossibile. Come un avventuriero impavido ha lasciato il sentiero principale per buttarsi nella giungla, conscio che qualcosa, nella fitta vegetazione, si fosse mosso.

Rappresentare tutta l'America in 50, 100 scatti, è, d'altronde, un impresa utopica. Stephen Shore ci è invece riuscito, a modo suo, costruendo una capsula del tempo che vedendola ora ci lascia basiti, intristiti, per un contesto ormai molto lontano da noi.

Transparencies: Small Camera Works è un pò un diario di viaggio e un pò uno spaccato di vita quotidiana. Un racconto lento, romantico, che rende ancor più magnifica l'esperienza e il cammino di questo straordinario autore.

Che poi, scattando queste foto, fosse stato più volte beccato e rimproverato rispetto che col banco ottico, più grande e spaventoso, questa, caro lettore, è un'altra storia.

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