Il mondo gira attorno ad Henri Cartier-Bresson. A distanza di pochi anni dalla morte del fotografo più importante del XX Secolo, siamo ancora innamorati, come fosse la prima volta, del suo stile e delle sue immagini.

E chi come, curioso di conoscere ogni frammento della vita di quest’uomo, non poteva resistere nel non acquistare l’immaginario dal vero: un piccolo libriccino, scritto da lui, di circa 100 pagine, che raccoglie, e sintetizza, tutta la sua poetica.

Un prodotto da avere e conservare gelosamente nella propria libreria, indipendentemente dalla vostra religione fotografica e dal vostro amore nei confronti di questo fotografo.

Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore — Henri Cartier-Bresson

Chi conosce Bresson, sa benissimo quanto lui abbia odiato, nel momento dell’esplosione del suo mito, il suo dover stare perennemente sotto i riflettori. Per un fotografo abituato a mischiarsi nella folla, a rendersi invisibile tra i passanti, farsi riconoscere immediatamente da un fan, non è una bella cosa.

Per questo, gran parte delle sue produzioni autobiografiche sono state realizzate quasi alla fine della sua carriera, o almeno, di quella fotografica. Come sappiamo, l’esuberante Henri, nei suoi ultimi anni di vita, è tornato a disegnare, dedicando anche parte del suo tempo alla catalogazione dei suoi lavori e alle realizzazione di mostre ed interviste.

L’immaginario dal vero fa parte di questa cerchia di produzioni di fine carriera e, ad oggi, rappresenta la finestra più intima sul suo lavoro e sulla sua poetica.

“L’immaginario dal vero” è disponibile su Amazon.

Già la sola copertina è emblematica: Bresson, di fronte ad uno specchio, sta disegnando il suo autoritratto, mentre sua moglie, Martine Franck, lo fotografa in questa tripla visione di se stesso.

Il tema della visione è da subito centrale in questo libro, come anche nella poetica dello stesso autore. Nella sua idea totale di arte non esiste uno strumento unico che possa definire e catturare adeguatamente la realtà in ogni sua sfumatura.

Fotografia, disegno e cinema sono diversi, come diverso è l’approccio utilizzato dall’operatore per poter sfruttare ogni piccola parte del suo armamentario. Il fine è sempre lo stesso: cogliere la realtà nel suo divenire.

La fotografia è un’azione immediata, il disegno una meditazione.

- Henri Cartier-Bresson

E chi fotografa sa quanto sia difficile tirar fuori, anche dal soggetto più entusiasmante, una fotografia degna di questo nome. L’istinto e la velocità giocano un ruolo fondamentale in questo processo.

Puoi avere la fotocamera più performante del mondo, ma se nel momento dell’azione, ti trovi da tutt’altra parte, hai perso in partenza. Il tempo ti ha battuto.

Bresson ci introduce prepotentemente, in poche e concise pagine, in quelli che sono i temi che gli stanno più a cuore, o che gli hanno causato, nel tempo, diversi ripensamenti e diatribe.

Si parla di cosa sia un reportage, della fama non voluta, e in solo parte suffragata, del mito del “momento decisivo”, ma anche del valore delle sue amicizie e dei suoi viaggi intorno al globo.

La sensazione che provi alla lettura di questo libriccino, un pò diario, un pò narrazione storico/artistica del tempo, è che stai davvero entrando nel mondo di questo autore. Ne senti tutta la pressione, tutta la nevrosi e tutta l’emotività dietro quelle parole che descrivono i momenti di maggior concitazione, e di maggior pericolosità, dell’intera sua carriera.

Sei lì con lui, a Cuba, mentre fotografa Che Guevara, ma anche lì, in India, negli istanti che precedono la morte del Dalai Lama. Bresson ti trasporta nelle sue avventure. Lo fa in maniera molto personale, senza troppi sentimentalismi e senza troppi giri di parole.

Molte pagine si limitano a poche righe, che rimangono quasi sempre profondamente significative e, qualche volta, provocatorie. Non è un romanzo. Bresson non ha la capacità affabulatoria, descrittiva e sorniona del suo amico Capa.

Sfogliando le pagine ti accorgi infatti di una certa affettazione, difficoltà, nella sua narrazione, come se parlasse per aneddoti o citazioni. Vi dirò, conoscendo il personaggio so che lui era un uomo di poche parole. Si limitava a questi sprazzi di ironia e di genialità, per poi tornare immediatamente nel silenzio.

Un estratto di quello che troverete all’interno del libro.

Gli piaceva andare dritto al punto e questa cosa si nota anche qui. Possiamo definire ogni micro capitolo come un ampliamento di qualche pensiero, riportato sul momento in un taccuino e poi, successivamente, arricchito nella sua prosa.

Un mini diario molto apprezzabile. L’ho divorato e riletto più volte. Ci sono affermazioni forti, come quelle sulla fotografia a colori, odiata e mai ritenuta da lui vera forma d’arte, ma anche parole molto dolci, per i suoi amici, che lo hanno accompagnato nel suo meraviglioso e tortuoso percorso.

E poi c’è un omaggio alla fotografia e all’arte: le sue due compagne di vita, che gli hanno permesso, dopotutto, di potersi godere ogni momento della sua esistenza.

Pendiamo perennemente, in ogni pagina e in ogni parola, dalle labbra di questo autore. Alla fine della lettura sai di conoscerlo un pò di più e questa è una cosa che difficilmente puoi trovare altrove, in una fredda intervista o in un video realizzato in 20 sec in cui scorrono, languidamente, le sue immagini.

Leggere questo volume è un’esperienza da timbrare nel proprio passaporto da fotografo.

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