Non so voi, ma trovo il cinema tremendamente affascinante. Nella mia mente fantasiosa, e spesso fin troppo fanciullesca, l’ho sempre figurato come una porta interdimensionale: una caverna oscura ed irrequieta dove ci si siede, in ossequioso silenzio, per entrare a capofitto negli universi costruiti minuziosamente da registi e scenografi.

Il cinema è un incontro tra la vita pensata e la vita reale. Uomini, donne e bambini si riuniscono alacremente in quella sala, fumosa ed intima, per farsi rapire dalle emozioni, per scampare dalla monotonia della quotidianità e per lasciarsi andare, spesso, a scene grottesche o al limite del ritegno.

Si entra tutti insieme e solo alla chiusura della luce della sala si accede, quasi per magia, in un altro mondo. Si esce dall’incantesimo solo alla fine del primo tempo o della pellicola cinematografica. Chi varca la soglia della sala ne è consapevole e ne accetta ogni sua regola.

In questo calderone di infinite possibilità visive, di incontri fortuiti e di vicende surreali, si inserisce Arthur Fellig, in arte Weegee, con la sua serie fotografica “At the Movies”, realizzata intorno agli anni ‘40 nei cinema di Manhattan.

1943. © Weegee/International Center of Photography.

Weegee è sempre stato un grande osservatore della vita e delle sue molteplici sfumature. Lo ricordiamo soprattutto per le sue fotografie di cronaca nera, ricche di pathos e di crudezza. Lui è stato uno dei più importanti testimoni dell’America degli anni ’40 e ’50, quella dei gangster e della povertà nelle strade.

La sua velocità, il suo ingegno e la sua imparzialità lo hanno reso famoso in tutto il circondario e oggi parlare della sua fotografia è un atto più che dovuto, quasi automatico per noi amanti di questa forma d’arte.

“At the Movies” rappresenta per lui un esperimento, un tentativo di abbandonare, per qualche istante, l’opprimente visione di scene di terrore e di violenza quotidianamente fotografate nelle strade di Manhattan.

Il cinema, soprattutto quello di bassa lega, è stato intorno a quegli anni un luogo di riposo, di rifugio, per la gente povera e per i lavoratori notturni. Questi personaggi, per fuggire dal freddo e dal tedio, sceglievano di rinchiudersi nelle sale cinematografiche e sfruttare, per qualche ora, e grazie al prezzo irrisorio del biglietto, le poltrone comode e il riscaldamento delle sale interne.

Anni ’40, Manhattan © Weegee

Un cinema per tutti, che nell’immaginario storico americano ha raccolto, in un unico posto, numerose generazioni, classi sociali e razze. Un crogiolo di esperienze e di vite che nelle immagini di Weegee, scattate con l’ausilio di una pellicola a raggi infrarossi, prendono forma in un campionario irresoluto di momenti grotteschi e follie sfrenate.

Weegee sceglie deliberatamente di mettere dentro il suo obiettivo il vero film: non quello proiettato dalla pellicola cinematografica, ma quello già esistente nella sala, fatto di persone, rumori molesti e di respiri all’unisono.

Scatta, e mette tutto dentro, sperando di aver colto l’anima di Manhattan in quelle espressioni nascoste e tormentate di giovani americani incuranti del pericolo incombente (quello della Seconda Guerra Mondiale).

Ma cosa rende davvero così speciale questo progetto?

Quando si guarda un film si è impotenti, fragili ed esposti al fluire delle emozioni e delle immagini sullo schermo. Ci apriamo, perchè sappiamo che fa parte del gioco e che nessuno potrà mai vederci piangere, ridere o ricordarsi di noi.

In “At the Movies” vediamo l’altra faccia del cinema, l’altra faccia dell’umanità, quella che per qualche momento cede alla potenza delle sensazioni e degli umori e che ci rende tutti incommensurabilmente più simili, più umani.

L’America dei super eroi, dei super-uomini, dedita alla famiglia e alla morale, viene meno per far confluire tra di loro manifestazioni di vita difficilmente visibili alla luce del sole.

Anni ’40, Manhattan © Weegee

Vediamo persone ben agghindate che rimangono imbambolate, per ore e ore, di fronte allo scorrere delle immagini sullo schermo. Vediamo bambini sorridenti, che in preda ad un momento di euforia, si lasciano scappare un riso nervoso, immediatamente ripreso dai propri genitori. Vediamo lavoratori che schiacciano un pisolino, in posizioni quasi funamboliche, e poi giovani coppiette, alle prese con effusioni di ogni tipo.

Nei cinema, assurdamente, viene fuori lo spettacolo della vita, quello assopito, meno discusso, che si nasconde dagli occhi del pubblico per abbandonarsi alla sicurezza delle tenebre.

Weegee, anche qui, si rende testimone dell’invisibile, del taciuto. Varca clandestinamente il confine tra pubblico e privato per immergersi in contesti sconosciuti, insondabili. L’unico vero strumento rivelatore è la macchina fotografica: il gadget super segreto che gli permette di vedere dove normalmente non si potrebbe.

Oggi il confine tra il mostrabile e il non mostrabile è molto più labile che in passato. Siamo più disposti a metterci in luce, anche quando questo vuol dire rendere partecipi della nostra vita privata persone totalmente sconosciute.

Negli anni ’40, però, questo processo era meno tangibile, comprensibile, e il poter vedere un uomo o una donna emozionarsi, senza filtri, di fronte ad uno schermo, era un evento davvero unico.

“At the Movies” è stata una piacevole scoperta, un modo nuovo di vedere Weegee sotto un’altra luce e consacrarlo, se già non fosse chiaro, tra gli artisti più incisivi del XX Secolo. E poi ci aiuta a rispondere ad una domanda che ci siamo da sempre posti: “Ma cosa diavolo accade in sala durante la proiezione dei film?”. Beh, ora abbiamo una risposta più che certa.

Fonti: Timeline.com, L’espresso ed International Center of Photography
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