Tutti noi affrontiamo dei momenti bui. L'inquietudine può assumere delle fattezze spaventose e chi ha toccato almeno una volta il fondo di questo esasperante labirinto, fatto di afflizioni e tormenti, e chiamato da alcuni depressione, sa bene che uscirne, illesi, è molto difficile.

Raymond Depardon ha raschiato il fondo di questo barile, trovandosi, a metà anni '70, a dover combattere con quella parte di se stesso distrutta e smembrata dalla documentazione del conflitto civile in Ciad.

Il mondo, in quell'istante, gli sembrava diverso, tutte quelle convinzioni che avevano retto la sua visione della realtà, costruendo un impalcatura quasi indistruttibile, si erano incrinate e la speranza di vedere una luce in fondo al tunnel era ormai del tutto affievolita.

Eppure, una cura, arrivò.

Fu la stessa fotografia, compagna di vita, musa ispiratrice, che insieme alla psichiatria, lo accompagnarono nel ritrovamento di un obiettivo e di un motivo per continuare ad osservare, con il sorriso, il mondo.

"Manhattan Out" nasce da questa apprensione verso la vita, una raccolta di fotografie in bianco e nero mai pubblicate - se non di recente - e che vedono protagonisti gli abitanti visibilmente eccentrici delle strade di Manhattan.

Una raccolta sui cui faccio mea culpa, perché di lei, neanche per puro caso, ne avevo mai sentito parlare (per fortuna ci sono i miei lettori!), né online e né nei libri di fotografia.

Ma partiamo dal principio.

"Manhattan Out". 1981. di © Raymond Depardon

Siamo agli inizi degli anni '80. Raymond Depardon è appena tornato da un soggiorno - definito da lui stesso "fin troppo lungo" - in un centro psichiatrico vicino a Trieste.

Un'amica, a New York, lo accoglie nel suo appartamento, offrendogli la possibilità di dividere uno studio e ricominciare così a scattare fotografie. Di cose serie, impegnate, però, Raymond non ne ha ancora voglia, così scende in strada e si lascia andare al flusso della folla, in cerca di idee.

E qui inizia la storia.

Il fotografo francese racconta, nell'introduzione del suo libro, di aver trovato nelle sue scorribande mattutine per la città, un forma di sollievo, un modo per stemperare la tensione rivolgendola nella costruzione di un qualcosa di duraturo.

Manhattan era speciale, viva, frizzante. Ti faceva sentire a casa pur non essendo la tua casa. Era un luogo, insomma, in cui sguazzare in tutta libertà.

Raymond non conosceva bene la lingua inglese e pur essendo tremendamente innamorato della cultura americana aveva difficoltà nell'esprimersi e nel spiegare quello che stava facendo.

Di fotografie in strada, soprattutto in America, se ne facevano già tante all'epoca, ma la sua, più che urgenza di condivisione, di mettersi in luce, era una necessità di sfogarsi, di ritrovare un senso nelle cose.

In ospedale, prima di arrivare a New York nelle braccia della sua amica, aveva preso dimestichezza con il concetto di "fotografia estemporanea", catturando, con il suo fedele Leica M21, i pazienti intenti a consumare la loro noiosa e ripetitiva routine quotidiana.

Si trattava di semplici fotografie colte con grande perizia ed arguzia all'oscuro del soggetto: niente contatto visivo e niente dialogo.

Un processo strano, che lo rimise in una condizione di instabilità ed imprecisione, tipica degli inizi, e che rimestava le carte del suo destino: lui, che fotograficamente e professionalmente era stato sempre preciso, attento ed empatico.

"Manhattan Out". 1981. di © Raymond Depardon

Questa serie, ristorativa ed accidentale, percorre con lo stesso spirito questa cattura dell'impreparato, svelandoci, nel profondo, una faccia del lavoro di Raymond Depardon che non si trova minimamente altrove.

Le sue sono immagini imprecise, coraggiose, dai tagli inconsulti - kleiniani per certi versi - realizzate con l'unica accortezza di non farsi notare e di godere al massimo dell'esperienza dello scatto.

Al centro delle sue inquadrature personaggi buffi, inquietanti, sinistri: star del cinema prestate al quotidiano in una messinscena in piena salsa americana a metà tra noir e commedia drammatica.

Raymond teneva la fotocamera ben salda sul petto, premendo il pulsante di scatto solo quando percepiva che era il momento giusto. Si muoveva compunto, veloce, vestito da corriere per mischiarsi nella folla. Una pausa, presa ogni tanto, per ricaricare le energie.

A spingerlo in questo sotterfugio, schema quasi metodico, non c'era la paura di farsi beccare, redarguire (Manhattan era una città mooolto permissiva), ma di riacquistare, pian piano, la fiducia nel genere umano.

La morte, le guerra, l'oscurità e il rapimento di una giornalista francese, durante il suo servizio fotografico in Ciad, lo avevano talmente traumatizzato da creare in lui un forte risentimento nei confronti dell'uomo: non più buono come prima.

Voleva scappare, per cambiare vita e dimenticarsi del suo passato.

"Manhattan Out". 1981. di © Raymond Depardon

Queste fotografie, pubblicate solo 27 anni dopo dalla loro realizzazione, sono rimaste per tempo ignorate in un cassetto, buio, lontano dagli occhi dei curiosi, perché Raymond, dopotutto, non riusciva a rendersi conto della qualità, e del perché, del suo operato.

Vedeva in questa raccolta sconclusionata solo un gioco, un esperimento per liberare la mente e sgranchirsi le idee, e nulla più. Poteva mai, una cosa nata così dal caso, avere davvero importanza?

A volte, le cose fatte di fretta, sono le migliori e qui, dopo anni di attesa, Raymond lo ha capito. Queste fotografie, scattate nella plumbea atmosfera di un'America disincantata, nascondono qualcosa, ci dicono qualcosa.

C'è tutto: narrazione, pathos, mistero ed inquietudine. Le persone, pur catturate nella loro inconsapevolezza o, almeno, ne era convinto Raymond, sono partecipi dell'azione: guardano la lente, ma la lasciano fare.

Manhattan, la musa prediletta, non passa in secondo piano e svolge il compito di garante, di intermediario, offrendosi in tutte le sue sfaccettature, nudità, virtù e difetti agli occhi dell'osservatore.

Raymond Depardon è in mezzo, guarda senza giudizio, ascoltando i rumori della strada e facendosi persuadere dalle sensazioni. L'unico atto, l'unico momento di riconciliazione con l'IO, avviene nell'attimo dello scatto.

Un atto, quello del fotografo nei confronti di se stesso e della terra che lo ha accolto, che va oltre il meccanicismo dell'azione: il suo è un atto liberatorio, una cura contro il male e l'indifferenza che funge da riappacificazione totale con l'umanità intera.

"Sono qui e in parte ti ho perdonato".

Fotografie che ci raccontano un'epoca e un modo di "vivere la strada" diverso da quartiere a quartiere. Una serie che mi ricorda come la vita ci possa prendere a cazzotti, duramente, ma che qualcuno o qualcosa verrà prima o poi a risollevarci.

La strada, dopotutto, rappresenta per molti di noi un momento di grande gioia e spensieratezza. Percorrerla, in lungo e in largo, con la nostra fotocamera attaccata al collo, è il nostro modo per dire "esistiamo".

Un anno sabbatico alla Raymond Depardon...e che anno!!!

Fotografie di © Raymond Depardon (IG: https://www.instagram.com/rdepardon/)

Chi è Raymond Depardon?

Raymond Depardon è un fotografo di origini francesi. Fonda l'agenzia GAMMA nel 1966. Entra ufficialmente nella schiera dei fotografi Magnum Photos nel 1979. Il suo stile è caratterizzato da un bianco e nero dirompente e dalle note classicheggianti.

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