Dati tecnici

Editore: Aperture

Prefazione: Orhan Pamuk

Data pubblicazione: 2007

Numero pagine: 135

Analisi

Alex Webb è un fotografo straordinario. Basta sfogliare questa sua monografia "Istanbul: la città dai 100 nomi" per capire la grandezza di un autore che sembra essere nato per fare il fotografo, e nulla più.

Provo un certo affetto nei confronti di questo lavoro. È stata una delle prime monografie che ho acquistato e quella che mi ha aperto le porte verso una visione della fotografia di strada mai vista prima ad ora.

"Istanbul: la città dai 100 nomi" è un progetto fotografico che parte ufficialmente nel 1998 per poi concludersi, se mai si possa dire concluso del tutto, nel 2005.

Le prime due pagine sono emblematiche: si aprono con una piccola introduzione scritta da Alex, dove ci racconta il primo momento in cui incontra Istanbul e ne rimane innamorato perdutamente, e con una piccola immagine, in bianco e nero, che riporta la data del 1968: la prima volta di Alex in quel mondo magico.

Aveva sedici anni e in compagnia della sua famiglia vagava felicemente, e con tanta curiosità, per quelle strade dell'antica città. A colpirlo, a primo impatto, furono soprattutto il miscuglio di culture e di stili che caratterizzano una delle località culturalmente più complesse della storia umana, e che la rendono, per questo, speciale ed unica.

Era alle prime armi con la sua macchina fotografica. Non avrebbe mai pensato, che in un futuro prossimo, sarebbe diventata il suo feticcio personale, la sua ragione di vita. Ma furono proprio quelle vie, quei colori e quegli odori a spingerlo a decidere, all'età di 46 anni, di ritornarci, e dar vita ad un progetto fotografico.

La prima cosa che stupisce di questo lavoro è la varietà delle visioni e delle inquadrature. Tutte uniche e particolari nella loro esistenza. Questo lo si vede e lo si percepisce nella differenziazione degli ambienti e della luce, che acquista, ad ogni pagina, un potere e un colore sempre più predominante nella scena.

Ogni frammento, ogni luogo, sembra essere una città a se stante, con i suoi monumenti e i suoi abitanti. Delle piccole città invisibili di Italo Calvino, che prendono piede a pochi passi una dall'altra.

Per quanto Alex Webb sia conosciuto nel mondo per la gestione folle e passionale della componente luminosa, naturale od artificiale che sia, non ha qui il ruolo cardine che riveste invece in altri progetti come "The Suffering of Light" o "La Calle".

In alcune immagini la intravedi, ma fa solo da sfondo a delle scene con inquadrature e composizioni complesse, tipiche di Webb, e con ambienti variopinti. Ritorna più forte, più caratterizzante, solo negli ambienti notturni, quando colora i volti dei passanti e le macchine ferme nei marciapiedi.

Potremmo dire che quello che abbiamo davanti è un Webb concentrato sul luogo, sulle persone, più che sull'impatto estetico delle sue immagini. La luce c'è, ma non è la protagonista della sua ricerca.

Vediamo sopratutto dentro la sua inquadratura, fatta di molte cornici e riflessi inaspettati, bambini, lavoratori, donne e, spesso, anche animali, che, senza saperlo, rendono lo spazio molto più vivo e goliardico del previsto.

Al centro dell'immagine la scena principale, e poi tutto il resto, come se nei piani adiacenti si svolgessero e si concludessero, in parallelo alla storia primaria, altre mini storie, che fanno da contorto e rendono le inquadrature più forti di quelle che appaiono a prima vista.

Alex ha trascorso molti mesi in quei luoghi prima di prendere in mano la sua macchina fotografica e ci tiene a svelarcelo, e ripetercelo, in più interviste.

Quando arrivi in un posto sconosciuto, la prima cosa che fai è quella di interporre la tua fotocamera tra te stesso e il luogo, sperando che possa proteggerti e spiegarti il perché di quelle manifestazioni.

Un grosso errore, perché così facendo ti allontani dalla realtà e non la vivi a pieno: perché la fotocamera, per quanto se ne possa dire, è un canale che facilmente si ostruisce, se non lo si prende nella giusta direzione.

Alex lo sa bene e si preoccupa di vedere, di vivere ed assaporare ogni momento, prima con i suoi occhi, e dopo con la sua Leica.

Istanbul: la città dai 100 nomi accoglie un centinaio di immagini e voglio credere che il fotografo, durante la disposizione di quest'ultime, che ti svelo, non sono poi così tanto studiate negli accostamenti, abbia dovuto fare i salti mortali, per non mettere tutte le fotografie scattate in questo libro.

La Istanbul di Alex Webb è magnifica e un solo volume non basta a rendere onore a questo progetto, ma sono sicuro che lui lo sappia bene e che stia continuando, con la mente, a scattare altre fotografie: perché quando ti innamori di una città difficilmente la abbandoni così presto.

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