Nell'oceano infinito costituito dalla rete c'è il rischio che molti fotografi vengano soffocati dallo spietato meccanismo che predilige la quantità rispetto alla qualità.

L'oceano della rete, per rubare le parole a Vanni Pandolfi, è un mondo sconfinato, fatto di tante produzioni di ottima qualità ma non tutte valorizzate a pieno. Il mercato della fotografia è una corrente perpetua, un blu lattiginoso di mezze occasioni in cui i naviganti sono consapevoli che la luce della notorietà è un vezzo per pochi, un giro di clessidra destinato a consumarsi velocemente nel tempo.

In mezzo a questa tempesta governata da sirene persuasive, travestite da concorsi in cui a vincere è quello più bravo a svendersi, ci sono dei porti sicuri: canali, associazioni, riviste e gallerie che degli algoritmi e della commerciabilità delle opere degli autori se ne fanno davvero poco. A loro, della fotografia, interessa la FOTOGRAFIA, tutto il resto è materia per ben altri destinatari.

Chiamiamoli pure gli ultimi baluardi della fotografia, i custodi della sacra camera oscura o, se vogliamo, persone talmente sceme da credere ancora che tutto ciò possa interessare a qualcuno. Quello che è certo è che senza di loro, certi lavori e produzioni, farebbero fatica ad arrivare nelle nostre case.

Da qui, da questo assunto, parte la mia intervista a Vanni Pandolfi, curatore del progetto editoriale di BestSelected e, come me, sostenitore di una fotografia dei piccoli e fatiscenti palcoscenici: la migliore, la più intensa in assoluto.

Intervista
La tua biografia lascia presagire un'amore sconfinato nei confronti della fotografia. Quando l'hai incontrata per la prima volta?

Ho incontrato la fotografia da piccolissimo, forse a 5-6 anni, attraverso una piccola macchinetta di plastica a pellicola venduta insieme ad un prodotto dolciario. Conservo ancora in un cassetto quelle mie prime fotografie, frutto di un'enorme curiosità rivolta al mondo e a quello che mi circondava.

Successivamente entrai in contatto con delle macchine fotografiche che provenivano dalla Bielorussia. Mio zio era andato a lavorare là e mi ricordo ancora la vibrante sensazione di maneggiarle come degli strumenti magici.

Scattavo però poco, a causa della pellicola. Nessuno mi aveva insegnato ad utilizzarla. Sono tornato a sperimentare con lo strumento con l'arrivo del digitale. Finalmente ho potuto iniziare a mettermi davvero in gioco. Da lì in avanti, con l'esplosione delle prime community online, e dopo con l'arrivo dei Social Networks, la fotografia è diventata per me un appuntamento giornaliero.

E poi è arrivata la scrittura.

Oltre a fotografare, adoro scrivere di fotografia. Deve esserci di fondo un'idea che faccia riflettere, che veicoli un messaggio che l'autore senta come esigenza espressiva. Me ne accorgo guardando le fotografie che compongono i progetti a cui normalmente rivolgo le mie attenzioni. Entro in sintonia con loro, mi immergo dentro le immagini, le storie, ed inizio a scrivere quello che sento.

Sul sito di BestSelected campeggia la frase << Il nome, la celebrità del fotografo non sarà la discriminante, mai. Guardiamo soltanto alla Fotografia prodotta, fosse questa anche il primo scatto in assoluto di un fotografo principiante che ha iniziato a fotografare da appena 1 giorno" >>. Un bel manifesto! Ti va di raccontarmelo?

Il manifesto è l'affermazione del pensiero che governa ogni nostra decisione all'interno della redazione di BestSelected. Io, insieme alla mia collaboratrice, Yasmin Javidnia, abbiamo a cuore tutti quei fotografi, disseminati, e spesso sepolti, nella rete, che producono buone immagini senza ottenere riscontri.

Per questo, come scritto nel manifesto, non ci interessa il punto di partenza di un fotografo o la sua biografia, ma solo i lavori e i progetti, che con tanta fatica ed impegno, sono stati realizzati nel tempo. La sostanza, insomma.

Come nasce il vostro progetto editoriale?

Il progetto nasce nel 2012 con lo scopo di cercare di restituire ai fotografi di tutto il mondo quell'attenzione che si meritano. Nell'oceano infinito delle immagini costituito dalla rete moderna c'è il rischio che molti di loro vengano soffocati dallo spietato meccanismo che predilige la quantità rispetto alla qualità.

Da fotoamatore percepivo già sulla mia pelle questo problema e così è nata in noi la necessità di costruire una vetrina che potesse ospitare tutti quegli autori, di qualsiasi provenienza geografica, che secondo il nostro punto di vista avessero molto chiaro in mente cosa significhi fotografare e cosa sia la fotografia.

Da BestSelected, volume 2. Immagine di © Nikos Mitrakas

Il primo passo è stato quindi quello di aprire il sito di Bestselected e poi, successivamente, il progetto di stampare quelle fotografie selezionate per conservarle su carta e salvarle così dall'oceano della dimenticanza digitale.

Questo non perché odiamo il modo moderno di condividere la fotografia online, anzi, grazie ai Social Networks siamo riusciti nel tempo a costruire una rete di contatti davvero molto robusta, ma perché crediamo fermamente che guardare una fotografia necessiti di tempo, concentrazione, attenzione, per essere davvero apprezzata e capita.

La carta, in tal senso, ci dà una grossa mano. E' la dimensione storica e naturale della fotografia, un supporto fisico da toccare e maneggiare, da sfogliare, se è un magazine, e custodire nella propria libreria. È una modalità di conservazione e consultazione preziosa, intima e piacevole. Per questo ci piace tanto.

Si parla spesso online, erroneamente, di fotografia di valore e fotografia spazzatura, come se non si riconoscesse, fino in fondo, le diverse sfumature del medium. Che ne pensi tu sul tema in questione?

Il valore di una fotografia è sempre un concetto relativo. Esiste un valore accettato da ampi gruppi di persone che deriva dalla storia, dall'arte e della cultura della società di riferimento. Sono quelle fotografie che divengono quasi icone perché ne viene riconosciuto e codificato il loro valore in maniera diffusa.

Poi esistono fotografie molto più personali, espressione di una individualità interiore alle quali credo si conferisca valore e bellezza perché si collegano con l'universo interiore dell'osservatore. In questo campo il tema del valore di una fotografia è molto più sfumato e quasi irrazionale.

Per quanto mi riguarda mi pongo sempre davanti alle fotografie senza pregiudizio alcuno, assorbendo quello che la loro visione mi provoca dentro sia a livello affettivo che mentale e razionale. Credo che tutte le fotografie abbiano in potenza un valore che debba essere scoperto, attraverso il contatto con l'osservatore.

Quel valore cercate di evidenziarlo mensilmente all'interno delle vostre pagine. Cosa vi fa dire, nel vostro caso, "questo lavoro merita di essere valorizzato di più"? E come cercate i vostri talenti?

Come ti dicevo, la prima cosa fondamentale è la qualità del lavoro. Oltre alle nostre call interne, scandagliamo giornalmente le piattaforme di condivisione di fotografie - tra cui Flickr, Instagram e Facebook - per individuare possibili profili interessanti e progetti congeniali al manifesto della rivista.

Quando troviamo quello che ci colpisce in modo positivo passiamo a contattare l'autore in privato. E' quindi un progetto essenzialmente su invito. Questo per cercare di tutelarne la qualità, nel rispetto del pubblico e del fotografo.

Scegliamo le fotografie in base a fattori oggettivi, che riguardano la tecnica espressa, il concetto attorno alla narrazione e il livello di preparazione fotografico dell'autore. In ultimo, mai scontato, seguendo quella piacevole sensazione di entrare in sintonia con quel particolare gruppo di fotografie realizzate.

Che idea vi siete fatti, dopo sei numeri pubblicati e stampati, delle condizioni della fotografia contemporanea? Trovate che sia ancora ricca di sorprese? Oppure sta pian piano perdendo di valore?

Ti correggo, abbiamo stampato 6 volumi del Bestselected book per un totale di 689 fotografie che abbiamo "pescato" e "salvato" su carta, più altre 267 del magazine tematico The Landscape. E possiamo risponderti di sì, la fotografia di questi anni sa ancora sorprenderci e noi lo abbiamo osservato con i nostri occhi curando l'editing di questo nostro progetto. La fotografia è viva più che mai.

Molto viva si, ma ancora, sotto certi aspetti, difficilmente accessibile ad alcuni giovani. Perché, a parer tuo, i fotografi emergenti fanno fatica a trovare spazio sul mercato?

Non vedo nel nostro paese degli organismi, strumenti o realtà che investono o supportano fotografi emergenti (o almeno, questa è la mia impressione). Esistono alcune importanti fiere ed eventi che puntano molto alla quantità, ma che una volta terminati i programmi, abbandonano i fotografi al loro destino.

Da BestSelected, volume 6. Immagine di © Chiara Vantaggiato

Questi diventano quindi più funzionali all'evento, che a loro stessi. Secondo me ci sarebbe bisogno di organismi che seguano giorno per giorno il fotografo, sponsorizzandolo e introducendolo attivamente nei vari settori culturali del Paese.

Una cosa che richiede tempo e risorse, ma che alla lunga può dare i suoi frutti.

E in questo le riviste indipendenti possono dare una mano.

Se la rivista è di una certa qualità credo che al suo interno si troverà sempre qualcosa che possa tornare utile ad un fotografo e che lo stimoli nell'elaborare strumenti e tecniche per migliorare la sua fotografia - e così valorizzarla.

La fotografia oggi ha un "consumo" e una fruizione prevalentemente digitali, per motivi di praticità e velocità. Nell'immediato ne godiamo tutti, ma con il passare del tempo si ha un'enorme sovraesposizione alle immagini tanto da farci dimenticare quello che abbiamo visto e consumato la settimana prima.

Se le riviste commerciali cercano di tener banco andando sul sicuro, mostrando fotografie ed autori consolidati, la rivista indipendente ha un carattere di segugio: va a cercare e mostrare particolarità di autori e lavori ignorate dai più. E molto spesso in quelle particolarità si trovano i semi della fotografia del domani.

Guardare il mercato, e soprattutto frequentare i luoghi in cui i fotografi cercano di farsi largo, può fare la differenza. Nasce forse da questa ricerca sul campo la vostra nuova Call sulla Street?

La nuova Open Call, denominata The Street, segue quella dello scorso anno, The Landscape, che ha portato poi alla realizzazione del magazine di ricerca sul Paesaggio. Abbiamo deciso da tempo di lanciare un'investigazione all'anno, su un tema specifico: quest'anno è toccato alla Street Photography.

La fotografia di strada è un genere esploso di recente, attraverso la disponibilità di compatte sempre più performanti e abbordabili nei costi e grazie anche all'uso di telefonini che ormai a livello qualitativo hanno raggiunto un buonissimo livello.

Trovo questo genere interessante per mostrare al pubblico e a noi stessi come viviamo gli spazi urbani, come ci relazioniamo all'ambiente e come scambiamo informazioni tra di noi. Le città sono le nostre gabbie e al loro interno la fauna umana si esprime in svariati modi, a livello personale e individuale, sociale e di gruppo: dapprima manifestando la propria unicità e particolarità come persona singola, poi insieme agli altri, membri attivi della comunità umana.

E' stimolante quindi notare le affinità, le mode, l'omologazione, ed anche le divergenze, così come le caratteristiche, i comportamenti diversi all'interno di questo spazio comune. Homo homini lupus ma alla fine, volenti o nolenti, dobbiamo per forza vivere insieme accordandoci l'un con l'altro.

Che tipologia di lavori vi aspettate di ricevere?

Il progetto lanciato negli ultimi giorni si concentra specialmente su come l'essere umano viva e percorra ogni giorno quello spazio ed ambiente da lui creato e organizzato, ovvero la città. Siamo molto curiosi di osservare come venga inteso questo genere in senso originale, creativo, e come questa ricerca nelle strade e negli spazi urbani possa assumere varie connotazioni di indagine sociale, estetica, politica e testimonianza storica del nostro tempo.

L'Open Call chiude ufficialmente il 31 Agosto. Già alcuni dei lavori ricevuti sono pubblicati sulle nostre pagine social. Non vediamo l'ora di vedere il resto.

C'è quindi spazio per tutto, non solo per il Momento Decisivo?

Il momento decisivo è presente ogni secondo, sta là fuori davanti ai nostri occhi. Può manifestarsi in modo eclatante, oppure in sordina; in modo spettacolare o più banale: perché ogni secondo che viviamo è decisivo e quello che un fotografo raccoglie dalla realtà, qualsiasi fatto od evento, è un frammento significante di una storia fantastica, cominciata 200000 anni fa. Ogni momento è sempre importante e decisivo allo stesso modo. Non è possibile fare a meno di alcuni di loro.

In ultimo, ti senti di dare qualche consiglio a chi ancora indugia nel presentare i propri lavori, che si tratti di una rivista o di una galleria?

Il consiglio è quello di mostrare sempre il proprio lavoro, soprattutto quando si è convinti del proprio operato. Il confronto porta sicuramente ad un accrescimento, indipendentemente dall'esito positivo o negativo. Per esperienza personale posso dirti che se un portfolio non riesce a convincere nella sua totalità, all'interno si possono comunque trovare delle ottime fotografie utili come punti di partenza di nuovi sviluppi e miglioramenti futuri. Credeteci sempre, fino alla fine.

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