Capita sempre più spesso di imbattersi in fotografi di strada, soprattutto italiani, che scelgono deliberatamente di districarsi tra raggi di luci e figure in silhouette, piuttosto che affrontare il duro scontro, faccia a faccia, con i propri soggetti.

Per molti è un ripiego, un contentino, per poter dire di fare fotografia di strada senza però averne mai colto la sua essenza e la sua natura. Mattia Ferrari rappresenta una vera e propria eccezione in questo campo. Pur avendo scelto di seguire questa via, costellata di enormi incomprensioni e pregiudizi, è riuscito nel tempo a crearsi un vero e proprio stile, munito di un suo linguaggio e di sue connotazioni specifiche.

Mi sembrava giusto così approfondire questa sua unicità, e dopo qualche breve messaggio su Instagram, ci siamo organizzati per l’intervista. Quello che ne è venuto fuori è il racconto della sua storia, di come affronta ogni giorno le sue sessioni fotografiche, tra due figlie piccole d’accudire e il lavoro nel sociale, e il come riesce a costruire queste scene a metà tra il metafisico e il grafico. Buona lettura!

Intervista
TSR: Ciao Mattia, grazie per aver accettato di prendere parte a questa intervista.

Ciao Gianluca, grazie a te per aver pensato a me e al mio lavoro. È un piacere essere qui.

TSR: Seguo il tuo percorso come fotografo di strada da mesi ormai e mi sono sempre chiesto come nascesse una tua immagine.

Guarda, il processo che porta alla realizzazione delle mie fotografie è molto semplice. Nascono inizialmente nella mia testa, ancora prima di sollevare la mia fotocamera, e sono frutto di un’attenta osservazione dello spazio circostante e di un gioco di causalità.

Mi guardo spesso intorno quando sono in giro con la mia macchina fotografica e spesso rimango ore e ore di fronte ad una scena ad attendere il soggetto giusto. La luce gioca un ruolo fondamentale nella produzione delle mie fotografie e nel tempo sta assumendo, come se avesse una vita propria, una forma sempre più delineata e strutturata.

© Mattia Ferrari

È tutta una questione di equilibrio e di tecnica. Molte volte si pensa che la fotografia di strada sia legata totalmente all’estemporaneità delle situazioni, il che è vero solo in parte. Ad esempio mi capita varie volte di tornare in luoghi già visitati in precedenza e sceglierli come sfondo di una possibile fotografia.

Osservare è un’azione costante e vitale per ogni fotografo e quando si presenta l’occasione giusta, che sia dettata dal trovarsi senza volerlo in luogo specifico, o aver scelto di essere lì, è importante saperla cogliere e renderla magnifica.

TSR: Questo tuo approccio alla strada mi fa pensare a lunghe camminate e alla produzione di tante immagini che spesso finiscono nel cestino. Quando capisci qual’è l’immagine giusta? E che ne fai di tutto il resto?

Cerco di mantenere molto alta la qualità delle mie fotografie. Questo porta spesso ad una produzione irregolare e condizionata dalla situazione che ho davanti. Mi limito a scattare solo il necessario e a conservare tutto il resto.

Nel mio caso c’è sempre il rischio di dare vita a fotografie banali o ripetitive, per questo tengo a freno la mia irruenza da fotografo, cercando di portare a casa solo lo stretto necessario.

Credo che ogni immagine abbia un suo ruolo, un suo valore, e anche quando non ti dice niente inizialmente può diventare una pedina in un tuo progetto futuro. Conservare tutto per almeno qualche mese dovrebbe essere una prassi per tutti.

TSR: A proposito di progetti. Quanto credi sia difficile crearne uno nel contesto della Street Photography? Per te che ne hai prodotti tanti nel tempo sarà diventata una vera e propria passeggiata…

Dare vita ad un progetto legato al mondo della fotografia di strada non è totalmente impossibile. Sicuramente ci vuole molto tempo, costanza e perseveranza, ma alla fine qualcosa di buono può uscire.

Normalmente quando lavoro su una serie caratterizzata da una precisa ricerca di soggetti o luoghi specifici, faccio mente locale sulle possibili situazioni che potrei inserire nella mia inquadratura. Successivamente riguardo il mio taccuino, dove segno orari e posti interessanti nella mia città, e mi focalizzo su quei particolari che voglio evidenziare nelle mie immagini.

Partire con le idee chiare in testa ti permette di non farti distrarre da altre situazioni e a ricercare solo quello che potrebbe essere utile alla tua causa. La preparazione è tutto in questi casi.

TSR: Ombre, luce e spesso forti contrasti. Cosa vuoi comunicare con le tue immagini?

Le mie fotografie cercano di esaltare, quando possibile, la bellezza della quotidianità e degli istanti spesso definiti dal pubblico banali e privi di senso. Potremmo definirla come un tentativo di mettere luce su quelle situazioni ignorate dal cittadino contemporaneo a causa della frenesia della vita attuale.

Ammetto che la maggior parte della mia produzione si ferma al grafico e non ha interesse nel toccare campi più alteri come la politica o il giornalismo, ma capita a volte che vengano fuori questi temi senza neanche volerlo.

© Mattia Ferrari

In quel caso capisco che devo attenzionare la tematica e cercare di comprendere se possa essere portata avanti o lasciata lì, al caso e al fluire delle successive espressioni dell’esistenza umana.

Sono piccole eccezioni che capitano di rado nel mio lavoro, anche perché, prenderle con più serietà, mi porterebbe a travalicare il campo del reportage che contempla ben altri strumenti e ben altre preparazioni di carattere culturale e storico.

Per ora mi accontento di registrare questi attimi e di interpretarli senza altri fini se non quelli della bellezza estetica e della goduria visiva.

TSR: Cosa ne pensi della fotografia di strada italiana? Segui qualcuno nello specifico?

La fotografia di strada italiana è molto varia. Alcuni sono fotografi eccellenti e riescono ad interpretare il genere in maniera davvero molto coinvolgente e convincente; altri invece vivono in quella dimensione in cui non hanno ancora ben capito cosa sia Street Photography e cosa no.

Non è totalmente colpa loro. Viviamo in un mondo, quello di internet, che fa fluire le informazioni in maniera incontrastata ed è molto facile confondersi o scambiare una cosa per un’altra.

La questione della privacy, se già non bastassero i problemi citati sopra, è un altro limite che condiziona fortemente alcune produzioni e porta i fotografi a non avvicinarsi mai del tutto ai loro soggetti. Per questo, chi riesce a distinguersi nel nostro paese con la sua fotografia, ha una marcia in più rispetto agli altri, anche al resto d’Europa.

Non seguo nessuno di particolare, ma mi piace guardare un pò di tutto. I Social mi aiutano a rimanere informato e li sfrutto soprattutto per conoscere i lavori di altri autori.

TSR: Ecco, hai toccato un tasto dolente. Vedo che fai uso di diverse piattaforme Social per pubblicare le tue immagini. Quale consiglieresti però ai lettori di The Street Rover?

Penso che la piattaforma migliore per la fotografia sia Instagram, dove c’è, secondo me, il bacino di utenza maggiore e più attivo, o comunque quello che ti permette di raggiungere più velocemente possibili appassionati o curiosi.

500px e Flickr, e tutti i restanti siti più incentrati sulla fotografia, sono comunque molto validi e adatti a chi ha non ha un proprio sito privato — il mio, ti annuncio, è in lavorazione, anche perché averlo è diventato di fondamentale importanza.

Consiglio ai lettori di non fissarsi troppo sui likes o sulle condivisioni e di pensare a fotografare e a produrre bei lavori. I Social Networks devono rimanere una sfera dove sperimentare e divertirsi e non diventare una mania o una malattia.

TSR: A cosa stai lavorando in questo momento?

In questo momento sono al lavoro su una serie denominata “The City Palette” in cui cerco di isolare 1–2 colori all’interno dello scatto e a rendergli onore, attraverso la loro giustapposizione nella mia inquadratura.

© Mattia Ferrari

È un lavoro diverso da quello prodotto fino ad ora poiché si concentra su elementi ben specifici e fa uso del colore: una vera e propria novità per me che ho sempre scattato, e pensato, in bianco e nero. Credo fortemente che uscire dalla propria confort zone, dopo anni e anni di fotografie scattate su una certa linea, sia davvero importante.

TSR: In ultimo, cosa consigli a chi si vuole avvicinare al genere?

Consiglio di avvicinarsi al genere senza preconcetti, di mettersi in gioco e fare tanti tentativi mantenendo una certa costanza nel tempo. Dopo aver appreso le basi e, soprattutto, dopo aver ampliato e conosciuto tutte le possibili variabili del genere, l’unica cosa che conta è uscire a fotografare. Tutto il resto è superfluo.

Ringrazio infinitamente Mattia per il suo tempo. Se ti fosse piaciuta quest’intervista condividila e passa la voce. Puoi approfondire il suo lavoro sul suo profilo Instagram.
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