Empatia, umiltà e voglia di mettersi in gioco. Queste caratteristiche definiscono il lavoro fotografico di Massimiliano Faralli e lo rendono, agli occhi degli osservatori, o dei curiosi che si trovano a passare dal suo profilo Instagram, un mix incredibile tra scene da cinema hollywoodiano e un editoriale di moda underground.

La sua fotografia, per quanto possa trarre inizialmente in inganno, è fotografia di strada a tutti gli effetti: fatta di momenti accidentali, di soggetti inconsapevoli e di flash sparati nel momento giusto.

Sentivo la necessità di andare a fondo del suo lavoro, di conoscere il personaggio dietro alle immagini e di capire come e quanto il flash potesse davvero influire nel contesto Street. Ne è nata così una bella intervista, ricca di spunti di riflessione e, sono sicuro, di tante informazioni utili per chi la fotografia di strada la sta masticando da poco. Buona lettura!

Massimiliano Faralli — Intervista

TSR: Ciao Massimiliano! Grazie per quest’opportunità. Tenevo il tuo lavoro sott’occhio da mesi.

Ciao Gianluca, grazie a te per l’invito e per aver preso in seria considerazione le mie fotografie. È bello essere qui sul Magazine.

TSR: Il primo elemento che ruba la scena appena apri il tuo profilo Instagram è la potenza disarmante del flash. Come sei arrivato a farne uso nel tuo processo fotografico?

Il flash è l’ultimo tassello di un percorso iniziato tanti anni fa. Sono sempre stato attratto dai colori saturi. In camera oscura mi divertivo a sperimentare con acidi e tecniche di sviluppo differenti per dare vita ad una saturazione del colore spesso inverosimile ed estrema. Mi rendeva felice questa cosa e volevo riprovare quelle stesse sensazioni anche con il digitale.

Così per pura curiosità ho iniziato qualche anno fa a fare uso del flash nelle mie fotografie. Ne ho scoperto immediatamente le potenzialità e il suo utilizzo in strada. Posso dire essere diventato, quasi subito, un amico fedele a cui affidare un ruolo importante nel mio processo creativo: dare incisività e teatralità alla scena.

© Massimiliano Faralli

È un rapporto di amore ed odio e non ti nascondo che scattare con il flash non è mai facile — e spesso anche inutile, in alcune situazioni. Si va incontro a numerosi problemi: a partire da quelli strettamente legati alla privacy — il lampo, verosimilmente, infastidisce e ti rende visibile — fino ad arrivare a quelli tecnici.

La luce cambia velocemente e stargli dietro è spesso molto frustrante. Si parte con un’idea in testa per poi doversi successivamente fermare, nel bel mezzo della strada, ed adattare le impostazioni, e l’occhio, alla situazione che hai davanti.

Come per ogni cosa serve esercizio e grande creatività. Ancora oggi, pur avendo scattato centinaia di immagini in questo modo, non riesco a domare alcune peculiarità di questo strumento. È sempre una grande scoperta e io, da curioso patentato, non posso che stare lì a sperimentare ogni sua possibile dote.

TSR: Il flash ti rende visibile e spesso ti mette in “pericolo”. Come gestisci, in questo caso, il tuo rapporto con i soggetti?

Prima di scattare, cerco di comprendere se la situazione è favorevole o meno all’accoglimento di questo strumento nella scena. Molte persone si dimostrano disponibili ed aperte appena mi vedono imbracciare la macchina fotografica, ma molte altre vedono invece nel flash un nemico temibile, da abbattere e demonizzare.

Il rispetto, in questo caso, come in tutti gli altri contesti che mi vedono scattare delle fotografie in pubblico, ha la priorità su tutto. Per questo motivo, se percepisco un certo astio o una certa repulsione nei confronti del flash, lo metto da parte e cerco di tirare fuori il meglio da quella situazione senza di lui.

Cerco la partecipazione del soggetto e mai lo scontro. Credo sia questo a creare quell’energia che vibra tra i corpi e che disorienta l’osservatore alla visione delle mie fotografie. Una sorta di etica che mi permette di mantenere ben saldo il mio obiettivo iniziale.

TSR: Il flash parte e subito dopo la foto viene salvata. Le persone, alla fine del processo, sono curiose di vedere il risultato? O lasciano correre?

Non sempre, molto spesso sono io che dialogo con loro. Il mio interesse è quello di condividere e far conoscere, bonariamente, il mio lavoro, specie quando vedo atteggiamenti increduli e curiosi.

Fa parte dell’approccio. Anche questo aspetto va saputo gestire. Non sempre è sufficiente e non sempre è necessario. Occorre esperienza, esercizio e attenzione anche e soprattutto quando il contatto diventa diretto e non dichiarato.

© Massimiliano Faralli

Ho imparato da tempo a conoscere i soggetti che fotografo e capire da piccole cose come muovermi con le persone, come leggere le situazioni e come evitare approcci sbagliati. Ma non sempre è possibile: l’errore può arrivare come anche il rimbrotto di una persona.

Ritengo importante, anche per il rispetto del tuo lavoro e per quello degli altri fotografi, spiegare a chi lo chiede quello che fai e perché lo fai, non fuggire da spiacevoli discussioni. Il soggetto, d’altronde, è il protagonista indiscusso delle nostre storie. Metterlo a conoscenza delle nostre intenzioni è di fondamentale importanza.

TSR: Molte delle tue serie fotografiche vedono protagoniste vicende di carattere politico e sociale (gay pride, manifestazioni, ecc…). Sono situazioni che sfrutti per la sola possibilità di imbatterti in scene da catturare? O la tua fotografia ha anche una connotazione politica e comunicativa?

Io sono tra quelli che pensa che fare fotografia di strada sia anche fare fotografia documentaria. Questo tipo di fotografia può essere un domani un ottimo archivio della memoria, oltre che un feticcio da conservare gelosamente nei propri cassetti di casa.

Per questo cerco di collezionare, quando possibile, momenti in contesti che ritengo importanti per il genere umano e da cui spero possa raccontare e tirare fuori qualcosa di più profondo che la semplice immagine bella e buona.

Detto questo, mi ritengo soprattutto un artista, non un cronista. La mia presenza nella scena è neutrale e disimpegnata. Mi ritengo più un osservatore. Lascio ad altri la penna per descrivere o comunicare un pensiero su quegli avvenimenti.

TSR: Mi hai parlato spesso di “empatia” nella tua visione fotografica. In che modo questo fattore è presente nelle tue immagini?

L’empatia è l’emozione che guida gran parte del mio lavoro. Realizzare immagini con all’interno perfetti sconosciuti ti mette spesso in una situazione di potere, di superiorità: in questo contesto, ogni scelta, giusta o sbagliata che sia, può cambiare incommensurabilmente le cose.

Quando fotografo giro intorno ai miei soggetti, osservo il lato migliore e scatto tutto in pochi secondi. Loro, ovviamente, mi vedono, seguono l’azione e instaurano con me una relazione temporanea che può portare a diverse conclusioni.

© Massimiliano Faralli

Cerco di capire ed ascoltare le situazioni, a percepire quello che le persone stanno provando o vivendo in quel momento. Potrebbe essere un discorso campato per aria, ma ti posso assicurare che prendere in considerazione questo fattore aiuta a migliorare il tuo rapporto con la strada. Si nasce empatici, ma lo si può anche diventare con un pò di esercizio.

Molti fotografi di strada non “ascoltano” i propri soggetti, non li comprendono, e si lasciano andare spesso a quella fomentazione fotografica che li spinge a rendersi noiosi e fastidiosi. La boria e la presunzione non portano da nessuna parte.

TSR: A cosa stai lavorando in questo momento?

Ho alcuni progetti nel cassetto. Alcuni di questi avrebbero bisogno di una guida, di un aiuto esperto, per partire o per capire dove andare a parare, altri invece devo ancora concluderli.

Ad esempio, ti svelo che mi piacerebbe molto mettere a frutto un progetto sulla mia città (Prato). Da architetto ho già molto materiale in archivio. Sarà un lavoro aperto e non necessariamente legato a un genere fotografico. Non mi dò dei limiti e continuo a lavorare molto ma, detto francamente, ritengo di essere ancora all’inizio del mio percorso.

L’obiettivo è continuare il cammino con gioia e serenità, con la maturità e la consapevolezza di non lavorare per cercare la visibilità ma per il solo desiderio di espressione. Voglio solo lasciare una traccia di me, delle mie storie e delle mie emozioni. Se poi arriva un riconoscimento questo non può che rendermi felice!

Credits © Massimiliano Faralli
Ringrazio infinitamente Massimiliano per il suo tempo. Se ti fosse piaciuta quest’intervista condividila e passa la voce. Puoi approfondire il lavoro di Massimiliano sul suo profilo Instagram.
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