Constantine Manos non è tra i fotografi più prolifici della Magnum Photos. Scavando nella biografia di questo straordinario autore, riconosciuto nel settore come una delle figure di riferimento per chi ama la fotografia di strada, è facile imbattersi in poche righe che ne descrivono le avventure e il lavoro compiuto in questi ultimi settant'anni di carriera.

Rispetto a tanti altri suoi colleghi, reduci da lunghe narrazioni in giro per il globo, e da migliaia di copie vendute nelle librerie, Constantine Manos, Costa per gli amici, ha dedicato gran parte del suo percorso artistico a pochi argomenti, a pochi luoghi.

Prima l'America, sondata nel profondo, e poi la sua terra di origine, la Grecia: due universi completamente opposti, nella cultura e nelle cartine geografiche, ma riuniti in un'unica narrazione, quella di Constantine, precisa e poetica.

Pochi lavori eppure, guardando le sue fotografie, non possiamo che rimanerne sempre stravolti, riuscendo a scorgere, nelle pieghe di composizioni ricche di elementi e relazioni tra i piani, l'animo deciso di chi ha scelto di fare fotografia perché non avrebbe potuto fare null'altro al mondo.

La migliore espressione di quest'indole collima in "American Color": una serie fotografica pubblicata inizialmente nel 1995, poi rimaneggiata nel 2007, che racconta l'America con uno stile, un fascino e un'intensità davvero unici.

"American Color", 1995 di © Constantine Manos

"American Color" è un progetto estremamente semplice nella sua forma.

Constantine, durante le pause dai suoi incarichi giornalistici, passeggiava per le vie dei luoghi più frequentati dagli americani, alla ricerca di tutte quelle situazioni definite da lui stesso "momenti che accadono e che poi non tornano più".

Ad interessarlo erano soprattutto situazioni caotiche in cui la luce scottante di un sole al massimo della sua altezza crea vorticosi ed intricati tagli di luce che decontestualizzano la realtà rendendola misteriosa agli occhi dell'osservatore.

Qui, in questi scenari lungamente osservati, persone, oggetti, ombre e colori si mischiano in un caleidoscopio di forme e simboli culturali: creature metafisiche che stanno in piedi da sole come se vivessero in ecosistemi separati.

Le scene scattate da Constantine sono surreali e lasciano aperti diversi interrogativi che solo lo spettatore potrà espletare.

Le migliori immagini sono delle sorprese, immagini che riconosci inconsciamente ma che vedi solo quanto ti appaiono davanti - Constantine Manos

Questa serie, totalmente realizzata per scopi personali, è stata tra le prime che ha accolto il colore nella vita di Constantine Manos e, in particolare, quello della pellicola Kodachrome: la stessa di Steve McCurry, per intenderci.

Il passaggio al colore, in quel periodo, non era una roba tanto scontata.

Fin dalle sue prime operazioni artistiche il fantasma di Henri Cartier-Bresson, il suo primo mentore, e il peso di far parte di una grossa agenzia come la Magnum Photos, rappresentavano per Constantine un impegno da rispettare.

Se scattavi fotografie di un certo livello il bianco e nero era quasi d'obbligo. Non era una regola scritta, ma una candidamente consigliata, in un'improbabile bugiardino sul come vivere bene la propria professione.

Non a a caso, altri fotografi prima di lui, come Alex Webb o Ernst Haas, decisero di fare del colore il loro nuovo campo di sperimentazione, abbandonando quel bianco e nero che sembrava più una gabbia che una via di fuga.

Il colore ha sancito per loro e Constantine l'arrivo ad un mondo ancora inesplorato, uno in cui potevano sentirsi davvero liberi di esprimersi al massimo del loro potenziale senza dover scendere a compromessi.

Più che darsi alla macchia era quindi un'apertura verso l'ignoto, lo sconosciuto.

"American Color", 1995 di © Constantine Manos

"American Color" non è sicuramente annoverabile tra i lavori che hanno cambiato il mondo o che hanno gettato luce su un problema di natura sociale. Rimane però, per forma e contenuti, tra le serie più accattivanti e godibili sull'America del nuovo millennio.

Le inquadrature, i colori, le scene esilaranti, e a tratti bizzarre, definiscono la visione di un fotografo che ha colto dal mondo classico le basi della costruzione di un immaginario solido, per poi riplasmarle a sua immagine e somiglianza.

Se penso al colore, oggi, penso a Constantine Manos, al suo modo unico di far esplodere, letteralmente, le cromie dei suoi scenari facendole fuoriuscire dagli schermi dei nostri smartphone o dalle pagine di un libro.

Il che fa sorridere, perché Constantine Manos, alla fine del suo percorso, è tornato al bianco e nero, al suo primo amore. Forse la delusione del digitale o l'impossibilità di poter recuperare certe sfumature in post-produzione ha rappresentato un motivo di ritorno alle origini.

Quello che è certo è "American Color", seppur di passaggio, è un contenitore fantastico, uno di quelli che visti anche di striscio ti rimangono dentro.

Se questa non è la forza del colore non so cos'altro possa esserlo.

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