John Szarkowski, ti dice qualcosa? Tra i curatori più rinomati del MoMA di New York - ne è stato pure direttore dal 1962 al 1991 - John è una vera e propria leggenda nel campo della fotografia.

A lui dobbiamo l'apertura ad una nuova visione estetica della materia fotografica, mirata ad una sua totale indipendenza nel settore artistico, e la valorizzazione di autori ed autrici come William Eggleston, Diane Arbus e André Kertész.

Pur non avendo scattato lui stesso grandi fotografie, ha curato e diretto alcune delle mostre più importanti al mondo, portando in evidenza le potenzialità del concettuale e del triviale nel campo fotografico (si parla più di 160 mostre!).

Se dici Szarkowski, dici fotografia, e di quella coraggiosa e fuori dagli schemi.

Una curatela, la sua, sempre singolare, ma che in una mostra in particolare, presentata in una forma e in un afflato unici, la senti ancor di più.

Lei è "New Documents", un pezzo di storia della cultura fotografica.

Inaugurazione della mostra al MoMA (1967)

"New Documents" è stato il vero e proprio trampolino di lancio per autori del calibro di Diane Arbus, Lee Friedlander e Garry Winogrand o, se preferisci, la loro meritata consacrazione nell'olimpo dei grandi artisti del XX Secolo.

Quando nel 1967, John Szarkowski, presentò al pubblico la mostra, buona parte della critica pensò di trovarsi di fronte ad una una serie di fotografie prive di senso e sconclusionate, messe lì come pura provocazione nei confronti del pubblico.

Chi erano mai questi Diane Arbus, Lee Friedlander e Garry Winogrand, fotografi da quattro soldi che hanno pubblicato ogni tanto nei giornali commerciali, per poter imbrattare, con le loro immagini, le inestimabili sale di un museo?

La fotografia documentaristica era una fotografia con forti radici storiche e culturali, e tentare di ricostruirne le forme e i contenuti era una sfida, a detta di molti, impossibile, se non addirittura profanatoria.

Eppure, il successo di questa mostra, arrivò, più forte che mai.

Immagine di © Diane Arbus

Inaugurata nel Febbraio del 1967, proponeva un percorso espositivo composto da 94 fotografie in bianco e nero, presentate su uno sfondo bianco, un passepartout generosissimo e il nome dei tre autori incisi sui muri.

Niente di più semplice: un bianco luminoso che accoglie fotografie in bianco e nero, molto diverse tra di loro per approccio e contenuti, ma molto vicine in termini concettuali e di visione sul contemporaneo, disposte in file orizzontali.

Il pubblico entrò a contatto quella sera con le migliori espressioni della fotografia americana di quel periodo rivoluzionando, volente o meno, la propria concezione di arte fotografica e il rapporto con questi tre quasi totali sconosciuti.

Perché lì, se ancora non lo avessi capito, si attuò una vera e propria rivoluzione.

Il MoMa, che fino a quel momento aveva accolto solo immagini di natura prettamente pittorica ed astratta, esponeva ora nelle sue sale i ritratti crudi e disturbanti di Diane Arbus, gli specchi riflettenti di Lee Friedlander e la fotografia di strada di Garry Winogrand. Tutto, anche l'angolo più remoto della sala espositiva, sembrava essere fuori di testa, un qualcosa di mai visto prima ad ora.

Il 1967, per chi ebbe la fortuna di essere lì, fu il momento della svolta.

La fotografia, da lì in poi, anche grazie a miti come Robert Frank e William Klein, ruppe definitivamente le catene del fare documentaristico: non più solo fotografia fredda ed informativa, ma anche fotografia ricca di umanità e personalità.

Una nuova onda artistica che si abbatteva, forte, su un mondo fin troppo rigoroso.

Le loro immagini hanno modellato la tecnica e l'estetica della fotografia documentaria a fini più personali. Il loro scopo non è stato quello di riformare la vita, ma di conoscerla a fondo - John Szarkowski

Una storia bella, toccante per certi versi, che ci ricorda come molto spesso il successo di certe carriere sia dovuto all'accostarsi di più situazioni e sinergie.

Il fotografo fa la sua parte, con grande coraggio ed ardimento, ma quando poi un'immagine viene rilasciata al pubblico sono i curatori, i giornali, le riviste, gli editor e i galleristi ad accompagnare le opere nel loro percorso finale.

La fotografia è anche questo, una questione di legami e di scommesse. C'è chi ci prova, andando contro tutto e tutti, e chi si adegua alle convenzioni comuni pur di poter continuare a fare fotografia, seppur meno pettinata.

Garry, Diane e Lee hanno trovato chi li ascoltava e il proseguimento delle loro carriere, in parte, è anche merito di chi gli è stato sempre accanto.

John Szarkowski è stato un mito e questa è la sua più bella opera collettiva.

Fonti utilizzate:
  1. New Documents, MoMA
  2. New Documents, il manifesto di John Szarkowski
  3. The Exhibit That Transformed Photography, The New Yorker
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