C'è sempre una certa familiarità, mista a tensione, nello scattare una fotografia all'interno del vagone di una metropolitana.

Queste scatolette di latta che sferragliano nel sottosuolo all'ombra dello scorrere incessante del popolo della superficie, hanno costruito nel tempo un immaginario collettivo di facile immedesimazione, portando tanti fotografi ad affrontare il loro viaggio da un capo all'altro della città con un piglio maggiormente investigativo.

Questa pratica, ritenuta da tutti una vera e propria sfida alla fortuna (se ti beccano sei spacciato), non appartiene alla nostra epoca. Già Walker Evans alla fine degli anni '30 ebbe l'idea di infilarsi una piccola fotocamera sotto il cappotto per riprendere i volti e i gesti dei viaggiatori persi totalmente nei loro pensieri.

Evans era conscio del rischio, dell'improbabilità di ritrovarsi, al momento dello sviluppo di queste immagini, privo di materiale utilizzabile. L'opportunità di spingersi oltre gli schemi convenzionali era però fin troppo invitante.

Su questa linea, seppur con intenti diversi, si muove la serie sulla metropolitana di Tokyo di Nobuyoshi Araki (si, quello dei nudi) costruita intorno ad un racconto quasi diaristico e conturbante del viaggiare al di sotto della superficie cittadina.

Da "Subway Love" (1963-1972) di © Nobuyoshi Araki

La sua serie "Subway Love", scattata in età giovanile tra il 1963 e il 1972, ci racconta l'epopea giornaliera di Nobuyoshi e di tutti quei Giapponesi che decidono di viaggiare all'interno delle metro, qui più prigioni che mezzi di trasporto.

L'idea dietro alla realizzazione di questa serie mi fa pensare al pretesto più banale, quello che spinge noi fotografi a dare avvio a molti dei nostri progetti personali:

Lo faccio perché mi annoio, perché voglio rendere giustizia a questa cosa che si ripete nel tempo.

Questa sensazione è strana, ma pregna di significato.

Non deriva dalla qualità delle immagini finali, che nella loro delirante fretta di essere immagazzinate nel rullo potrebbero essere tranquillamente scambiate per pure sperimentazioni, ma per quell'energia e curiosità con cui l'autore le ha portate a termine: frutto di una noia da sconfiggere a tutti i costi.

Molto probabilmente Nobuyoshi in quelle sue traversate giornaliere aveva intravisto nel gesto fotografico un modo divertente per far passare il più velocemente possibile il tempo tra una fermata e l'altra.

Scattare fotografie, d'altronde, è un modo come un altro per fuggire dal tedio del vivere quotidiano: Nobuyoshi non ha fatto altro che unire l'utile al dilettevole.

Non è la prima esperienza da fotografo di strada per Araki.

In quei mesi si stava dedicando a tanti altri progetti fotografici, tra cui il racconto delle strade giapponesi e il lavoro "Satchin and his Brother Mabo", una serie struggente che vede protagonisti due fratelli di una sordida periferia.

Nobuyoshi ha un animo ribelle, curioso, e quest'indole ad avvicinarsi quasi intimamente ai corpi dei suoi soggetti, centrale nella sua poetica, definisce una visione della fotografia molto personale, irruente e soverchiante.

Nel racconto splendidamente impaginato da lui e stampato da IBC Books - la monografia è un'opera d'arte a se stante - sembra di trovarci nel pieno di un climax narrativo in cui momenti di quiete si alternano a scene di pura frenesia.

Araki è lì in mezzo alla folla, seduto su una scomoda panchetta di plastica o in piedi a ridosso della porta di ingresso. Tiene nascosta la sua fotocamera, ad altezza petto, e scatta quando sente arrivare lo scarico di adrenalina nelle sue vene.

Guardare è per lui una forma di possesso della figura umana: entra senza permesso nella vita di perfetti sconosciuti e ne risucchia l'essenza, l'anima, per goderne egli stesso e chi deciderà di riguardarsi in quelle immagini.

Quello che immortala sono afflati di vita, visi ingrigiti da chissà quali esperienze pregresse e gestualità che trasmettano una certa diffidenza nei confronti di chi li sta fissando (il fotografo o noi osservatori?).

Da "Subway Love" (1963-1972) di © Nobuyoshi Araki

Il contesto in cui fotografa Araki è un contesto profondamente diverso da quello occidentale. Negli stessi anni fotografi del calibro di Garry Winogrand o Bruce Gilden puntano senza paura la fotocamera addosso ai loro soggetti, restituendone, con grande abilità, la loro reale personalità (o una delle loro maschere).

Araki si trova in Giappone, una patria non ancora del tutto abituata ad essere fotografata (per un lungo periodo scattare in strada sarà vietato) e questa tensione che aleggia nell'aria in molte sue fotografie è dovuta a questo imbarazzo latente.

Eppure il lavoro è grandioso, unico nel suo genere. Non esiste sul mercato un così lungo e dettagliato racconto sulle metro in Giappone: il lavoro di Nobuyoshi Araki trasmette sensazioni di ogni genere e questo lo fa funzionare.

Eh si, "Subway Love" non avrà la carica emotiva e sessuale tipica della sua fotografia di nudo e ritratto, ma rimane un bel esempio di come si possa sfruttare positivamente il tempo perduto per qualcosa di utile, a se stesso e al mondo.

Una risposta chiara a tutti i detrattori di Araki che lo hanno sempre visto come un pervertito esuberante vestito da artista: i grandi autori, quelli veri, sono in grado di affrontare qualsiasi contesto e sfida, e a farlo egregiamente.

Nobuyoshi Araki, in questo, ci fa a tutti da scuola.

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