Ogni volta è sempre la stessa storia. Navigo sul web alla ricerca di qualcosa o qualcuno e trovo tutt'altro. La scorsa settimana ho beccato, per pura coincidenza, un lavoro di Guido Guidi, nella fattispecie "Di sguincio, 1969-81", serie fotografica ristampata da qualche settimana dalla casa editrice inglese Mack e mai sentita nominare da nessuno.

Di Guidi ne abbiamo parlato in passato, in riferimento alla sua meravigliosa "In Veneto, 1984-89", ma credo che difficilmente, conoscendo cosa muove l'autore nel realizzare le sue fotografie e gli strumenti di cui è solito far uso, avrei potuto immaginarmi di imbattermi in un lavoro del genere.

Fotografie dai tagli decisi, imprecise ed evanescenti, in cui un flash economico fa capolino al centro dell'inquadratura per illuminare visi ed oggetti all'interno di situazioni di vita quotidiana, in una cornice tipicamente intimistica.

Sembra Mark Cohen, ma in realtà è l'italianissimo Guido Guidi.

"Di sguincio, 1969–81". Fotografie di Guido Guidi

Questa storia dello scavare dentro le biografie e gli archivi di grandi autori mi ha sempre entusiasmato. Se oggi pensiamo a Guido Guidi pensiamo ad un fotografo incredibilmente composto, improntato ad uno sguardo riflessivo.

"Di sguincio, 1969–81" è invece una serie tecnicamente molto lontana dalla poetica di Guidi, ma al contempo molto vicina all'animo sperimentale della fotografia italiana e della gioventù di quel periodo.

Le immagini sono di piccolo formato, realizzate con una macchina a pellicola 35mm. Ampie cornici dallo spessore evidente accolgono bianco e neri corposi in cui soggetti, amici e parenti di Guido, compartecipano ad una narrazione sconclusionata e da star del cinema.

Parole, date, frasi e disegni impreziosiscono le intelaiature di questi istanti fugaci, ristrutturando il criterio di verità e trasportando l'osservatore in contesti storici che potrebbero essere veri od inventati.

L'unico legante tra questi immaginari fortemente evocativi è quell'estetica da "punta e scatta", imprecisa e brutale, a noi diventata tanto cara grazie alle prime pagine dei paparazzi e alle fotografie da album di famiglia.

Quella della fotografia dalle note amatoriali, d'altronde, è una narrazione che non ci è per niente nuova.

Alcuni la amano, altri la odiano. Alcuni ne hanno fatto un loro timbro personale, strumento utile alla causa, altri un mero passaggio momentaneo, in una lunga scalata verso la costruzione del proprio linguaggio artistico.

Tutti, nell'insieme, siamo però accomunati da un'unica e grande certezza: di quella 35mm, pellicola degli amatori incorreggibili, ne abbiamo caricata almeno una nelle nostre macchine fotografiche. Di foto, insomma, ne abbiamo scattate, e a iosa.

Non ci stupirà quindi sapere che anche Guido Guidi, conosciuto soprattutto per l'uso quasi poetico di un banco ottico e per la sua filosofia dell'attesa, abbia tentato di inglobare questo universo, veloce e letale, nel suo percorso artistico.

"Di sguincio", 1969–81. Fotografie di Guido Guidi (edito Mack, 2023)

"Di sguincio" è un termine di origini toscane che evoca quell'imprevedibile, e quasi testarda, attività del guardare le cose di traverso, da una prospettiva non lineare.

Queste fotografie di Guido Guidi definiscono perfettamente quest'indole, prendendosi una piccola fetta di attenzione rispetto allo sconfinato, preciso e maniacale lavoro del fotografo nel settore paesaggistico.

Il risultato è molto sperimentale, ma già diretto verso un'estetica che coglie dal neorealismo italiano e da tutte quelle ricerche stilistiche dell'epoca post-modernista incentrate sul superamento dei canoni classici di osservazione.

Fa sorridere pensare a come questo lavoro, mai discusso o chiacchierato, sia ritornato proprio ora in auge, in un libro che ne riporta perfettamente le stampe dell'epoca, firmate e timbrate dall'autore.

L'ultimo periodo storico ci sta abituando ad un certo grado di perfezionismo, di ricerca quasi ossessiva del bel soggetto, della bella luce e della storia strappalacrime.

"Di sguincio 1969-1981" ci riporta invece alle origini di tutto, tirandoci uno schiaffone sulle collottole per ricordarci come la perfezione non sia per forza sinonimo di bellezza e come la sperimentazione possa fare ancora la differenza.

Per ottenere dei buoni risultati bastano una macchina da quattro soldi, un flash diretto, una buona idea e una voglia matta di spaccare e conoscere il mondo.

Poi, se hai pure l'occhio di Guido Guidi, tutto diventa più facile.

Chi è Guido Guidi?

Guido Guidi è un fotografo di origini emiliane. È tra i fautori, insieme a Luigi Ghirri e Gabriele Basilico, della diffusione della nuova fotografia di paesaggio italiana. La sua ricerca visiva è legata all'indagine della pratica del guardare.

Transparencies: Small Camera Works. È sempre Stephen Shore...ma a 35mm!
Occhialino, fronte alta e sorriso sornione. Si aggira per le strade, con un banco ottico sulle spalle e una Leica al collo. Scatta. Si ferma a pensare, comporre. La civiltà sta passando tutta dal suo obiettivo. Poterla catturare è il suo unico scopo. Sembra il perfetto identikit di un ricercato
Non Recensiti. Gabriele Basilico in veste di fotoreporter.
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